Il 9 Maggio del 1978, poche ore prima che le Brigate Rosse uccidessero Aldo Moro, la mafia assassinava Peppino Impastato. Vogliamo ricordare quest’ultimo pubblicando integralmente un lavoro risalente a sette anni fa dell’amico giornalista Sebastiano Gulisano (che ce lo ha gentilmente concesso) in cui si traccia il percorso attraverso il quale, dieci anni fa, pentiti, Commissione Antimafia, processi e condanne, persino un film (I cento passi) gli hanno reso giustizia e lo hanno trasformato da “terrorista suicida” in eroe dell’antimafia.
“L’Impastato, dopo avere riflettuto ancora una volta su quello che egli stesso aveva definito un fallimento, progetta ed attua l’attentato dinamitardo alla linea ferrata in maniera da legare il ricordo della sua morte ad un fatto eclatante”. E’ il 10 maggio 1978 quando il maggiore Antonio Subranni, comandante del reparto operativo del gruppo carabinieri di Palermo, consegna al sostituto procuratore di Palermo Domenico Signorino il primo rapporto sulla morte di Giuseppe Impastato, militante antimafioso e candidato di Democrazia proletaria nelle elezioni comunali del 14 maggio.
Il corpo di Impastato è ritrovato a brandelli, sparsi nel raggio di trecento metri, lungo i binari della ferrovia Palermo-Trapani, nei pressi di Cinisi, la notte tra l’8 e il 9 maggio, disintegrato dallo scoppio di circa cinque chili di esplosivo del tipo usato nelle cave. Alcune ore dopo, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, a Roma, le Brigate rosse fanno ritrovare il cadavere di Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana.
Giuseppe Impastato, che tutti chiamano Peppino, nasce a Cinisi, nel Palermitano, nel 1948. La sua è una famiglia mafiosa: il padre, Luigi, è “uomo d’onore”; lo zio Cesare Manzella è il capomafia del paese. Manzella lo ammazzano nel ’63 con una Giulietta al tritolo, la prima autobomba nelle cronache di Cosa Nostra.
Peppino fin da ragazzo impara a contestare e contrastare quel mondo, fino a dichiarargli apertamente guerra. Dal primo foglio ciclostilato, L’Idea socialista, del 1965, a Radio Aut, l’emittente nata nel 1977, l’impegno di Impastato e dei suoi compagni è indirizzato a denunciare la mafia, la mala amministrazione, le speculazioni urbanistiche e i traffici di droga che passano per l’aeroporto di Punta Raisi. Se nell’Idea socialista “la mafia è merda”, su Radio Aut, diventa un soggetto criminale che ha relazioni con la politica e con l’imprenditoria. Con tanto di nomi e cognomi, camuffati ma riconoscibili.
“L’impegno civile e politico di Peppino nasce come giornalista e si conclude come giornalista”, racconta allo scrittore Luciano Mirone Giovanni Impastato, fratello minore di Giuseppe. Un impegno che, vent’anni dopo la morte, gli è riconosciuto anche dall’Ordine siciliano dei giornalisti, che lo iscrive ad honorem all’albo dei professionisti. L’apice dell’impegno giornalistico Peppino lo tocca con Onda pazza, programma del venerdì di Radio Aut: Cinisi diventa Mafiopoli, il boss Gaetano Badalamenti Tano Seduto (“viso pallido, esperto di lupara e di eroina”), corso Umberto I si trasforma in corso Luciano Liggio, il sindaco Gero Di Stefano (Dc) in Geronimo, il vicesindaco Franco Maniaci (Pci) diventa Maneschi, l’imprenditore Giuseppe Finazzo don Peppino Percialino (è proprietario di una cava)…
Badalamenti (e non solo lui) però non gradisce di essere deriso in pubblico e meno che mai che i suoi traffici, legali o illegali, siano spiattellati ai quattro venti. Lo dice apertamente a Luigi Impastato, che lo confessa a dei parenti, durante un viaggio negli Usa, aggiungendo: “Prima di uccidere Peppino, però, dovranno uccidere me”. Una sera di settembre del 1977 Luigi Impastato viene misteriosamente travolto da un’automobile. Otto mesi dopo tocca al giovane ribelle.
Le conclusioni del maggiore Subranni prendono le mosse da un manoscritto di Peppino di quindici mesi prima, rinvenuto da un investigatore durante una perquisizione, il 9 maggio: “Proclamo pubblicamente il mio fallimento come uomo e come rivoluzionario – si legge in quella pagina -. Non voglio funerali di alcun genere, dal punto di morte all’obitorio. Gradirei tanto di essere cremato e che le mie ceneri venissero gettate in una pubblica latrina della città, dove piscia più gente. Addio. Giuseppe”. A questo punto i carabinieri non si preoccupano più di cercare i pezzi di Peppino sparsi lungo la ferrovia. Il macabro lavoro lo completano gli amici della vittima: riempiono tre buste di plastica con i resti lasciati dai militari. In un casolare diroccato poco distante dai binari, inoltre, scoprono dei sassi macchiati di sangue. Le analisi accertano che quel sangue è di Impastato. Il che vuol dire che Peppino non si è suicidato ma che qualcuno lo ha ucciso (o stordito) in quella casa diroccata e poi lo ha trascinato sui binari simulando un attentato-suicidio.
Un dettagliato esposto viene inviato da compagni e familiari di Impastato al sostituto Signorino, il quale incarica i carabinieri di investigare. Gli uomini del maggiore Subranni indagano: sugli estensori dell’esposto, non sul contenuto. E il 30 maggio l’ufficiale redige un altro rapporto in cui ribadisce la convinzione che Peppino “si sia suicidato compiendo scientemente un attentato terroristico”.
Nel maggio del 1984, il giudice istruttore Antonino Caponnetto non esita a bollare le prime indagini come un “depistaggio” e a indicare le cause della morte di Impastato “nella sua battaglia contro la mafia e i mafiosi di Cinisi”. Mandanti ed esecutori dell’omicidio, però, restano ufficialmente ignoti. “Notissimi ignoti”, secondo gli esponenti del Centro di documentazione sulla mafia intitolato a Giuseppe Impastato, che producono un dossier – “Notissimi ignoti”, appunto – in cui accusano Badalamenti dell’assassinio.
L’11 novembre 1999, davanti alla Commissione parlamentare antimafia che indaga sul “caso Impastato”, chiamato a rispondere del “depistaggio” di ventun’anni prima, Subranni, che nel frattempo è andato in pensione col grado di generale, si giustifica così: “Era il clima, era un incidente, era il sequestro Moro, era l’eversione…“.
Intanto parlano i collaboratori di giustizia. Il primo è Salvatore Palazzolo, che indica in Tano Badalamenti e nel suo vice, Vito Palazzolo, i mandanti dell’omicidio. Il pentito fa anche il nome dei tre presunti esecutori, che però sono morti da tempo. Altri collaboranti rilasciano ai magistrati di Palermo dichiarazioni che combaciano con quelle di Palazzolo e nel novembre del 1997 vengono emessi due ordini di custodia cautelare a carico dei due boss ottantenni. Il 5 marzo 2001 arriva anche la prima sentenza: la corte d’Assise di Palermo condanna Vito Palazzolo a 30 anni di prigione; evita l’ergastolo grazie alla scelta del rito abbreviato.
“Ora aspetto la condanna di Badalamenti e poi posso anche morire”: Felicia Bartolotta Impastato, la madre di Peppino, ha 85 anni e da 23 indica il boss di Cinisi come l’assassino del figlio. Badalamenti, che sta scontando 45 anni di carcere in una prigione del New Jesey, per traffico internazionale di stupefacenti, viene giudicato con il rito ordinario. La sentenza è attesa per l’inizio dell’estate.
Peppino ormai è un eroe dell’antimafia, come Dalla Chiesa, come Falcone, come Borsellino. Un merito che va ascritto principalmente al film “I cento passi”, che ne racconta la breve vita. Una pellicola che ha appassionato anche Bertrand Delanoe, il candidato socialista alla carica di sindaco di Parigi ne ha infatti organizzato una proiezione durante la propria campagna elettorale. A Cinisi, invece, c’è ancora chi teme il ricordo di Peppino Impastato. Lo scorso mese di settembre, qualcuno ha strappato tutti i manifesti che annunciavano il film in un cinema del paese. Un inutile tentativo di oscuramento: la sala straripava ugualmente di persone.
BIBLIOGRAFIA
– Comitato di controinformazione “Giuseppe Impastato” (a cura di), 10 anni di lotta alla mafia, Coop. editoriale Cento fiori, Palermo, luglio 1978
– Felicia Vitale Impastato, Salvo Vitale (a cura di), Notissimi ignoti. Atti relativi all’assassinio di Giuseppe Impastato, Centro di documentazione “Giuseppe Impastato”, Palermo, 1986.
– Felicia Bartolotta Impastato (intervistata da Anna Puglisi e Umberto Santino), La mafia in casa mia, La Luna, Palermo, 1987
– Claudio Fava, Cinque delitti imperfetti, Mondadori, Milano, 1994
– Salvo Vitale, Nel cuore dei coralli. Peppino Impastato, una vita contro la mafia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1995
– Umberto Santino (a cura di), L’assassinio e il depistaggio. Atti relativi all’omicidio di Giuseppe Impastato, Centro di documentazione “Giuseppe Impastato”, Palermo, 1998.
– Luciano Mirone, Gli insabbiati – Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza, Castelvecchi, Roma, 1999
– Commissione parlamentare antimafia (relatore: sen. Giovanni Russo Spena), Relazione sul “caso Impastato”, Stabilimenti tipografici Carlo Colombo, Roma, dicembre 2000
Leggo solo ora questo post. Per solidarietà al giornalista Pino Maniaci e a Telejato, un piccolo gesto che va ad aggiungersi a quello di altri potrebbe essere quello di incorporare nel proprio sito Telejato, come ho già fatto io. Basta andare sulla homepage di Telejato http://www.telejato.it/ e fare il copia incolla del codice che si trova in basso a destra della pagina (share).