A pagina 6 dell’odierno numero de IL MANIFESTO è stato pubblicato un articolo di LORENZO TONDO sulla questione CASA DI ACCOGLIENZA IMMIGRATI A SABELLA dal titolo “GLI SMEMORATI DI SCIACCA“. Ve lo proponiamo integralmente:
GLI SMEMORATI DI SCIACCA di Lorenzo Tondo
SCIACCA – E’ il 29 maggio del 1900. Accursio Sclafani, con una valigia di cartone sotto un braccio, attende sulla spiaggia l’arrivo del piroscafo. Tra la pelle e la camicia tiene ben nascoste 150 lire: tanto costa l’America. Ha 14 anni e fino a quel momento ha vissuto a Sciacca, una piccola città sulla costa del Canale di Sicilia, tra le foci del fiume Platani e il Belice. Il mare, nero come la notte, non lo spaventa. Lo preoccupa piuttosto il ritardo del piroscafo. Impensabile restare a Sciacca: il padre non ha i soldi per pagare l’usuraio. Il viaggio durerà meno del previsto. Dopo 12 notti, esattamente il 9 giugno, Accursio sbarcherà nel Nuovo Mondo. Ma prima di entrare a Nuova Yorchi, verrà accompagnato sull’isolotto di Ellis, il grosso centro di accoglienza davanti la Statua della Libertà, dove i Black Italians venivano identificati, schedati e “marchiati”. In quella terra Accursio Sclafani trovò comunque una migliore accoglienza rispetto a quella che un secolo dopo la sua città natale si prepara a riservare agli immigrati in fuga dai loro paesi.
Il nostro racconto comincia infatti 108 anni dopo, a pochi chilometri da quella spiaggia pietrosa dove un secolo prima Accursio si preparava a lasciare Sciacca per sempre. Lì, Yonas e sua moglie Saba guardano orgogliosi la loro primogenita, Gabriella, partorita due giorni fa nel Centro di Accoglienza per i Richiedenti Asilo della città. Sono profughi, in attesa che le autorità italiane concedano loro asilo politico. Yonas, con la voce stanca di chi non dorme da una settimana, racconta di essere partito insieme alla moglie lo scorso 25 luglio dal porto di Tripoli. 2000 dollari il costo della fuga per due posti in canotto con l’esalazione nauseabonda di un compagno di viaggio già morto: destinazione Lampedusa. «Sapevo a cosa andavo incontro – spiega- ma non avevo altra scelta. Se tornavo in Eritrea l’esercito mi avrebbe ucciso, come hanno fatto con mia madre perché siamo di origine etiope. Mi sono affidato ad Allah». Oggi il destino di Yonas, Saba, Gabriella e di altri 150 rifugiati è appeso alla città di Sciacca e al suo centro di accoglienza. Mentre Gabriella veniva alla luce, il sindaco di centrodestra, Mario Turturici, cavalcando le proteste della gente, otteneva la chiusura della struttura che lui stesso aveva inaugurato poche settimane prima.
E’ questa la storia di una delle tante contraddizioni siciliane. Di una Sicilia in festa per lo sbarco del miliardario sultano dell’Oman, Qaboos Bin Said, di una Palermo che si dice orgogliosa della “nuova invasione araba” e dei 50 milioni offerti dal sultano per coprire i buchi del Comune, e di un sindaco della provincia di Agrigento troppo preoccupato per l’arrivo dei ben più poveri immigrati di Lampedusa, ora che le elezioni si avvicinano… Ma questa è soprattutto la storia di una città, Sciacca, dimentica dei suoi 8.000 emigrati che, come Accursio, tra il 1892 e il 1924 lasciarono la Sicilia per lavorare negli stori e farmi nordamericani.
Ma andiamo con ordine. A Sciacca lavora Marco Mustacchia, responsabile della Cooperativa Arcobaleno, dal 1994 in prima fila per l’accoglienza nei campi estivi dei bambini bielorussi vittime del disastro di Chernobyl. E’ lui il primo, agli inizi di luglio, a cogliere l’opportunità offerta dalla direttiva del ministero degli Interni che decreta la possibilità di adibire edifici inutilizzati a centri di accoglienza. L’obiettivo è quello di far fronte al sovraccarico di sbarchi che ogni estate affollano le coste di Lampedusa.
«C’era un edificio costruito per gli anziani a Sciacca, chiuso e abbandonato da otto anni. Era perfetto per l’accoglienza. Nell’arco di una settimana si sono concluse le trattative con la prefettura – racconta Mustacchia – e grazie alla cooperativa Agave siamo riusciti ad aprire il centro». L’edificio è una ampia villa di 2000 mq, realizzata a scivolo ai piedi del monte Kronio, a due chilometri dalla costa mediterranea. In una delle 45 stanze, al secondo piano, due ragazzi eritrei giocano a dama mentre un altro ripassa su un quaderno il presente indicativo del verbo essere. Ogni mattina alle 10 i rifugiati sono chiamati a frequentare le lezioni di italiano. Nella sala d’ingresso a pianoterra, un gruppo di pachistani mette in ordine i documenti e aspetta il proprio turno davanti gli uffici del Centro di Accoglienza. Tra le loro gambe sfreccia una piccola automobile telecomandata, guidata da un bambino algerino di 3 anni, sotto gli occhi sorridenti della madre. Si chiama Mohammed e anche lui è sbarcato in canotto 2 settimane fa a Lampedusa. Fuori c’è un uomo sulla cinquantina in sella ad una vespa che lo scruta attentamente. Getta un occhiata furtiva all’interno del centro, fa un giro dell’edificio e se ne va. E’ la seconda volta che passa. Forse qualcuno del comitato territoriale ha deciso di vigilare l’area? «C’è qualcuno a Sciacca che non vede di buon occhio il nostro centro – spiega Mustacchia – il sindaco sta conducendo una campagna contro di noi e capisco il perché. Sono le logiche della politica. Le elezioni si avvicinano. E l’influenza dell’elettorato saccense ha avuto sicuramente il suo peso». Il sindaco di Forza Italia Mario Turturici ha paura. Il centro di accoglienza rischia di rivelarsi un pericoloso Cavallo di Troia per la sua giunta comunale. E nonostante sia stato proprio lui a tagliare il nastro del nuovo edificio tra gli applausi dei volontari della cooperativa, due settimane dopo, davanti alle telecamere della stampa, afferma che lui di quel centro non ne sapeva proprio nulla.
«Non riuscivo proprio a capire le ragioni del suo gesto – racconta Mustacchia – Perché il sindaco aveva rilasciato quelle dichiarazioni? Era stato lui stesso ad inaugurarlo».
Le ‘logiche della politica’ sono talvolta appiattite sulle paure del quartiere. «Che ne sapete vuatri delle malattie che portano stì migrati?!» borbotta un anziano della zona. «Nuatri non sappiamo a chi appartengono!», concorda un altro. Intanto gli articoli dei giornali locali riportavano le lagne della popolazione per la vista di «due immigrati ubriachi per le vie di Sciacca», mentre i comitati di quartiere cominciavano ad affilare i coltelli.
«Durante le trattative ci coprirono di insulti – racconta Mustacchia – Ricevetti delle minacce personali. Mi dissero: “qualsiasi cosa succede in questa zona, sarà colpa tua. Ti verremo ad acchiappare!”. Ma io sono tranquillo. I ragazzi del centro non fanno del male a nessuno. Hanno invece bisogno del nostro aiuto. Hanno attraversato il mare per sfuggire a povertà e distruzione. Le loro famiglie, rimaste in quei paesi, sono spesso ricattate dai loro governi. Hanno bisogno di normalità e meritano più degli altri di vivere la loro vita dignitosamente. E poi, con la nuova legge inserita nel pacchetto sicurezza, alcuni di loro rischiano di essere rispediti a casa».
In Italia la regolamentazione in materia di rifugiati, e più in generale degli esuli forzati, è molto complessa. Il diritto d’asilo è stato modificato con due decreti legislativi emanati dal governo Prodi nel 2007 in attuazione di altrettante direttive dell’Unione Europea. Le modifiche hanno introdotto importanti miglioramenti, fra cui la sospensione dell’espulsione in presenza di un ricorso. Ma non è detto che vada sempre meglio. Il nuovo governo ha idee diverse in materia di politiche per l’immigrazione. Il nuovo decreto legge sul “Riconoscimento dello status di rifugiato”, tanto desiderato dalla Lega Nord e inserito nel Pacchetto sicurezza approvato il 21 maggio scorso, prevede – violando l’articolo 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – la cancellazione della sospensione ed il rimpatrio del richiedente se la domanda è stata respinta in prima istanza.
Non deve essere facile per Kodjoui, scappato dall’Eritrea poche settimane fa, vivere col terrore di essere ricacciato ad Asmara. E’ proprio questo ciò che contraddistingue lo status di un rifugiato da quello degli altri immigrati: Yonas, Saba e Kodjoui non possono tornare a casa. A differenza degli altri immigrati, i rifugiati sono inoltre soggetti ad un pressante monitoraggio da parte delle autorità. I loro nomi sono registrati in questura così non possono entrare clandestinamente nel mondo del lavoro. In Italia poi non esistono politiche di reinsediamento.
Così, dinnanzi al colpevole silenzio della sinistra locale e dopo un lungo colloquio con il sindaco Mario Turturici, il prefetto prendeva atto delle istanze di preoccupazione ed insicurezza presentate dai comitati di quartiere, rendendosi disponibile a proporre al Ministero la chiusura del Centro di accoglienza di Sciacca
<Alcuni erano preoccupati per l’incremento della criminalità. Il prefetto, suo malgrado, non poteva far altro che prendere atto di un malessere generale della classe politica ed in particolare della volontà del sindaco – spiega Mustacchia – I ragazzi non avevano fatto niente di male. Chiudiamo. Con la speranza che qualcuno ci ripensi…>.
Al centro non arriveranno più nuovi immigrati e tra un mese Yonas, Saba, Mohammed, Gabriella e gli altri saranno trasferiti in un’altra struttura. Intanto 40 operatori rimarranno senza lavoro, in attesa che la giunta comunale si decida a destinare la struttura ad un altro servizio. Il tutto avverrà in silenzio. Non ci saranno proteste, né manifestazioni. Perché Sciacca dimentica, dimentica la ciclicità della storia che ha cambiato nomi, nazionalità e colore della pelle. Ma non l’istinto alla sopravvivenza, quando a scappare per la ricerca di una vita dignitosa erano gli stessi saccensi, come Accursio. La politica ne prende atto.
<Ci aspettavamo qualcosa in più dal centrosinistra – afferma Mustacchia – non hanno fatto la loro parte. Mi aspettavo la loro solidarietà, il loro appoggio. Credevo si battessero con noi. Ma niente…>.
A Sciacca qualcuno può finalmente tirare un sospiro di sollievo, come un uomo di 50 anni che dice soddisfatto: <Bonu! Meno male che lo chiudono! Con tutti sti niuri seduti sulla panchine…sai comè, ho una figlia che torna a la casa la sera tardi..>.
<Non so quello che succederà nei prossimi giorni – prosegue Mustacchia – noi saremo ancora qui ancora per poco. Ma lotteremo fino alla fine…sperando che qualcuno si unisca a noi….>.
Cala la notte al centro di accoglienza di Sciacca e c’è uno strano silenzio. Nella camera 215 Awote mette insieme in un fagotto tre magliette e pochi oggetti personali. Ha 22 anni e viene dalla Guinea. E’ in attesa di sapere la sua nuova destinazione, ma la cosa non lo infastidisce. A preoccuparlo è piuttosto l’imminente verdetto delle autorità italiane sulla concessione dell’asilo politico. Se rimpatriato in Guinea, con ogni probabilità, finirà a Conakry, nelle carceri del presidente Lansana Contè.
Fuori, c’è un uomo sulla trentina in sella ad uno scooter. Scruta l’edificio, fa un giro e se ne va.