E´ il 20 giugno 1992. Tra qualche giorno Giovanni Falcone sarà morto da un mese. Siamo nella chiesa di San Domenico, a Palermo. Il Giudice Paolo Borsellino arriva. Gli applausi gli impediscono di iniziare. Alza una fiaccola, poi prende gli occhiali dal taschino. Ancora non può parlare, la gente non glielo consente. Un minuto e dieci secondi di applausi emozionati. “La lotta alla mafia non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che tutti abitui a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà, che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità“.
Oggi invece è il 4 ottobre 2008. Siamo nel teatro Sant´Alessandro, a Santa Margherita di Belice, la terra dei paradossi, del Gattopardo. Il Giudice Salvatore Vella è il terzo relatore. Lo hanno preceduto Salvatore Borsellino e Antonio Ingroia. Il Giudice mentre aspetta è teso, ma non lo dà a vedere. E´ il primo incontro pubblico in quella zona cui partecipa dopo l´operazione “Scacco Matto”, da lui condotta, che ha portato pochi mesi prima in galera, tra Santa Margherita e il vicinissimo Montevago, dieci persone: Antonino Maggio, Gino Guzzo, Antonino Gulotta, Giuseppe La Rocca, Giuseppe Clemente, Pasquale Ciaccio, Vitino Cascio, Rosario Cascio, Francesco Fontana, Giuseppe Morreale.
Non ha idea di come la gente possa reagire, di come abbia percepito quell´operazione, se la “società civile” abbia letto i dettagliati articoli dei quotidiani, relativi alla esplicita ordinanza di fermo, in cui erano scritti nero su bianco i gravissimi indizi che pesavano sulle teste degli arrestati. Gli passano la parola. L´emozione è sparita, e il dottore Salvatore Vella parla da guerriero, da combattente, da uomo in prima linea. “La mafia è un sistema feudatario antichissimo, è un suicidio economico, non ha alcun senso”. Ed elenca le opere pubbliche realizzate male e dopo interminabili lavori, a causa dei compromessi mafiosi. “Riflettete sulla mafia quando percorrete quelle strade”. Poi sfida apertamente i boss, le cosche locali, e lo fa ancora una volta con un termine scacchista: “Noi siamo qui, e ci saremo sempre, saranno loro a perdere, la partita è aperta, e noi siamo qui per giocarcela”. In sala il silenzio sfiora la sacralità. Le facce sono attente, le labbra tendono ad un sorriso d´orgoglio, di profonda soddisfazione. Quella gente è venuta per il suo Giudice, per sentire quelle parole, per dirgli grazie. Grazie per la mole di lavoro, per la dedizione, per il coraggio profuso per eliminare dal Belice quella cappa che faceva precipitare quella zona ai minimi nelle classifiche di vivibilità. “Oggi siamo una terra che sembra appartenere a Cosa Nostra, in cui i nostri destini vengono decisi dal capo mandamento, dal capo famiglia, da qualcuno appartenente alla massoneria o da soggetti delle istituzioni che sono vicini a questi controllori. Questo provoca un abbassamento della qualità della nostra vita”.
Il dottore parla con il cuore, parla dei momenti di solitudine, parla di come questa gente freni le nostre vite prima ancora che l´economia. Parla dell´azione culturale, parla alle coscienze, cerca, con passione pacata, di spiegare cosa vuol dire Scacco Matto. “Noi cittadini abbiamo gli strumenti per cambiare questo stato di cose. Non possiamo darla vinta a chi ragiona in maniera feudale. A chi ha il diritto di vita e di morte dei suoi sudditi. Questi incontri servono a sentirci meno soli. Oggi abbiamo l´accesso alle informazioni, possiamo pretendere che chi amministra, ci amministri nell´interesse pubblico. Dobbiamo ritornare ad essere cittadini liberi e non più sudditi”. Finisce di parlare e poggia il microfono sul tavolo. La gente si lascia andare ad un applauso immenso. Qualcuno, come Antonella Borsellino, figlia di due imprenditori vittime di mafia, si commuove.
Da quanti anni si aspettavano questi uomini, queste parole? Da quanti anni si aspettavalo Stato? Siamo abbondantemente oltre il minuto e lo scroscio delle mani non accenna a diminuire. Anzi. La gente comincia ad alzarsi e ad applaudire il suo Giudice in piedi, con più forza di prima. Sono le mani di uomini, donne, giovani orgogliosi di quelle parole, coscienti che la partita è aperta e che ora siamo noi da essere in vantaggio, ad avere la prossima mossa. Il Giudice è impassibile, cerca di mantenere a freno le emozioni, la commozione per quel riconoscimento. Lui rappresenta lo Stato, che è tornato nelle nostre zone. E non può commuoversi, non può lasciarsi andare. Solo dopo due minuti la gente torna a sedere, ma con quell´espressione sul viso che fa paura alla mafia, ai mafiosi, ai collusi. Santa Margherita ha visto lo Stato, i suoi uomini, e la gente adesso si sente meno sola, si sente forte. Brutte notizie per la mafia.
Benny Calasanzio