Con questo articoletto vogliamo inaugurare una nuova rubrica: “Uomini & Cose Nostre“. Buona lettura.
Il carretto siciliano – Le mille vite del mezzo di trasporto più famoso al mondo.
Forse un pizzico d’invidia per le nobili carrozze, che alla fine del settecento si volevano finemente decorate,spinse ,chi non poteva permettersele ad abbellire ciò che si possedeva:quell’umile carro da trasporto,che nel volgere di pochi decenni divenne una tra le più autentiche espressioni dell’arte popolare siciliana. O forse, fu più semplicemente la necessità, giacchè all’inizio non si andava oltre una semplice mano di colore dal blu, al giallo acceso, stesa per proteggere quel prezioso strumento di lavoro, dal sole implacabile della Sicilia.
Poi in un continuo crescendo qualcosa mutò. Questa necessaria emulazione creativa vestì ben presto i panni di un arte talmente originale da impressionare i numerosi visitatori europei che tra il 700 e l’800, vennero in Sicilia. Sbarcati al porto di Palermo o Catania trovavarono ad attenderli quei carretti a dir poco curiosi portatori, prima che di merci o dei loro effetti personali, di un modo fantastico. Era la Sicilia ad accorglierli, era quel mondo “altro” tanto vagheggiato, che si offriva loro senza riserve, subito. Basta citare Guy de Maupassant, scrittore francese che, a Palermo nella primavera del 1885, così ne scrisse “…Quei veicoli dipinti, buffi e diversi tra loro, percorrono le strade, attirano l’occhio e la mente come dei rebus che viene sempre la voglia di risolvere“. Ma è arduo comprendere l’arte dei carretti siciliani senza vestire i panni dei loro conducenti.
Quegli impavidi vagabondi delle stelle, che erano i carrettieri, spesso soltanto dei “poveri diavoli” trascorrendo la maggior parte della loro vita in un continuo girovagare su e giù per le valli della Sicilia, bruciate dal sole, sferzate dal vento, vollero forse rendere meno solitario quel loro lavoro. E allora il trasporto delle derrate alimentari, forse fu meno noioso se ad accompagnarle lungo il viaggio c’erano anche santi, paladini e dame di altri tempi. Un ideale, fedelissimo corteo di compagni di viaggio,un mondo variopinto,quantomai eterogeneo, frutto di secoli di storia e leggende. Magari durante una sosta si poteva,dialogare con Napoleone, Carlo Magno, e, perché no, indirizzare qualche sagace apprezzamento alle grazie della bella Angelica o delle gentildonne sempre raffigurate.
Chiaramente a San Michele Arcangelo che sconfisse il demonio o a S.Giorgio che uccise il drago, fu, vuoi per devozione o solo per scaramanzia, assicurato il posto d’onore, su quel pizzo che era il centro del travetto steso sull’asse delle ruote. La vita di strada allora era piena di intoppi, per i frequenti incontri con briganti o per le accidentate condizioni delle strade che allora erano solo delle “Regie Trazzere”. E allora meglio assicurarsela la protezione, l’occhio benevolo di un qualche santo in paradiso, meglio se illustre e di prima fila. A
ll’inizio, come racconta il Pitrè, i carretti erano decorati con un qualche semplice fregio, come approssimativi erano i personaggi rappresentati. Poi, forse una primitiva forma di pubblicità, o di marketing ante-litteram, spinse verso decorazioni sempre più elaborate a colori vivacissimi, che avevano l’indubbio effetto di attirare l’attenzione dei bambini nel caso dei caramellai, gelatieri o bibitieri o la curiosità delle donne con cui attaccare bottone nel caso degli arrotini. Ma l’arte dei carretti fu anche intrisa di una fortissima voglia di esprimere un mondo fantastico, popolato oltre che di fate, dei racconti delle crociate e della conquista normanna, anche un proprio personalissimo mondo interiore, in cui trovavano posto i propri amori non corrisposti o tormentati dalla gelosia.Tutto ciò, fece sì che nel girò di pochi lustri, le approssimative decorazioni di un tempo, si trasformassero in un vero e proprio grande movimento artistico popolare che elaborò una iconografia “altra” con “licenze” più facili da ottenere.
Sorsero varie scuole che diverse per collocazione geografica esprimevano vere e proprie correnti artistiche.Si potevano distinguere a colpo d’occhio i carretti del catanese da quelli del Palermitano. Carretti che diversi nello stile decorativo lo erano anche nella forma. I catanesi presentavano delle sponde rigorosamente rette, trapezoidali a foggia di barca quelle dei carretti del Palermitano. Nella sicilia occidentale sorsero numerossime le botteghe a Palermo, ma a Bagheria erano concentrati ed unanimemente riconosciuti gli artigiani “artisti” più fantasiosi. Lo stesso Guttuso, che di Bagheria era nativo, non ha mai nascosto che sono stati proprio quegli artigiani ed Emilio Murdolo in particolare, i suoi primi maestri del colore.
Ma la costruzione di un carretto,come si doveva, ad opera d’arte,richiedeva la collaborazione competente di diversi artigiani, carradori, intagliatori,tornitori, fabbri, pittori.Tutti intenti alla creazione di un abile connubio di arabeschi in legno e rilievi in ferro battuto, con un tocco finale di ricami ninnoli e pennacchi di piume colorate. Il richiudere la ruota di legno all’interno del cerchio ferrato era forse il momento più delicato. Il carradore, così si chiamava chi eseguiva questa operazione, curvava la striscia ferrata al millimetro e poi la chiudeva. Quell’istante, il cui esito era quasi un auspicio per il futuro del carretto, richiedeva una sapienza antica nell’uso della foggia e del martello. Poi il momento del fuoco, la striscia ferrata appena chiusa veniva arroventata perchè si dilatasse ad incarcerare e poi saldarsi alla ruota di legno. Per la fabbricazione delle varie parti del carretto, vennero utilizzati in una sapiente economia, vari tipi di legno in relazione alla funzione che l’elemento doveva svolgere. Ad esempio, il legno di noce, più resistente ma più pregiato, per tutti quegli elementi che dovevano sopportare le maggiori sollecitazioni, come i travetti, il mozzo delle ruote e le sponde, poi il Faggio per le mensole e i sedili, l’abete per il tutto il resto.
Ingegnosa, ma semplice, era la tecnica utilizzata dai pittori, i quali dopo avere steso uno strato di cementite, sulla superfice da decorare, passavano una mano del colore di fondo che in prevalenza era azzurro, rosso o giallo. Era quello il momento in cui i santi tutti, la Vergine, Carlo Magno e i suoi paladini o un qualche protagonista della cronaca del tempo, sgomitavano affollandosi nella mente del pittore, per essere ospitati sui riquadri di quelle sponde istoriate, fatte per sognare in una esplosione di colori vivacissimi. E quelle ruote alte per necessità, onde superare gli ostacoli di strade approssimate, piene di fossi e frane improvvise, diventarono esse stesse dei capolavori, con i raggi scolpiti nei modi più vari, coloratissime.
Con il passare del tempo, il carretto divenne anche il mezzo per concedersi una gita fuori porta con la famiglia o magari per accompagnare le donne pie in pellegrinaggio in un qualche lontano santuario. E allora lo si lustrava da cima a fondo e quel povero animale, forse come premio per la fatica del lavoro dell’ordinario, veniva per l’occasione ricoperto con un apposito corredo da festa. Mulo o asino che fosse veniva bardato con fiocchetti, ciancianeddri, “frange” Spagnole, lana, seta, specchi e pagliuzze colorate. Il tocco finale era quel capolavoro scenico dei pennacchi che a rigore dovevano essere uno più piccolo, sulla testa, l’altro alto sino ad un metro e mezzo, piantato nel bel mezzo della groppa. A volte anche le bardature vennero istoriate, sino all’inverosimile. E gli armiggi, che erano i paraocchi delle feste del povero animale, con un tocco di civetteria anticipavano i personaggi che poi avrebbero animato le sponde del carretto, con le loro storie e i loro drammi.
Quel carretto doveva essere l’orgoglio del proprietario, che ogni tanto,un occhiata furtiva la riservava sicuramente anche alla concorrenza. Agli inizi del ‘900, nella sola Palermo, se contavano più di 5000 esemplari, epressione di un arte popolare oramai consolidata che aveva avuto i suoi maestri nei Ducato, Tomaselli, Picciurro, Murdolo, in quel Salvatore di Franco le cui “opere”, cioè le sponde di un carro, sono oggi esposte nella sezione apposita nel museo etnografico Pitrè a Palermo. Uomini,che con la loro pittura energica, furono forse gli ultimi trovatori di un mondo oramai lontanissimo che si andava spegnendo, travolto dalla modernità e dalla crescente motorizzazione.
Non fùu un caso che l’ultima bottega dei Castellano “masciddrari ” (decoratori di sponde) di Palermo, fu rimpiazzata fisicamente da unofficina automobilistica. Il vecchio ma anche originale carretto siciliano era così soppiantato dal nuovo e seriale che avanzava inesorabile. “Quel rebus che cammina” come de Mapaussant lo defini nel suo viaggio in Sicilia, non è però stato dimenticato del tutto, è sopravvissuto sotto altre forme. O forse più esattamente, quella vena di arte popolare, che ne aveva animato con i suoi colori e le storie appassionate le sponde,non si è mai esaurita. Perchè espressione di un genius loci tutto Siciliano, che ancora oggi si manifesta, forse beffardo o solo amorevolmente, prendendosi cura con una sferzata di colori, di tutti quei mezzi di trasporto che la civiltà moderna e il consumismo rendono via via obsoleti. Per interderci, Motoapi, Vespe e le Fiat 500, tra cui a Castelvetrano la più fotografata d’italia.
Il Carretto oggi
Ancora oggi il Carretto anima i centri storici delle città Siciliane, come attrattiva per i turisti, per un giro panoramico o una foto, lo trovate in tutti i negozi di souvenir dell’Isola, chiaramente in miniatura. Altre volte è usato anche per cerimonie d’eccezione come un matrimonio o altre ricorrenze pubbliche o private. A Terrasini, in Provincia di Palermo, esiste un museo in cui è protagonista assoluto il Carretto Siciliano che spesso sfila in occasione di sagre paesane e feste A Canicattì, ogni anno il 3 Maggio, in occasione delle celebrazioni in onore del S.S Crocifisso, si svolge la ” Rietina “, una manifestazione ove sfilano per le vie della città decine di Carretti Siciliani tradizionali. Esistono alcune botteghe del catanese che ancora oggi meritoriamente sono dedite alla costruzione di carretti veri e propri. Grazie alla tenacia di figure oramai leggendarie come Nerina Chiarenza (figlia di Sebastiano) e Domenico Di Mauro o della sua allieva Alice Valenti,un’arte vive ancora nel perpetuarsi di gesti, conoscenze che difficilmente possono essere spiegati con le parole. Encomiabile poi la dedizione di Michelangelo Costantino la cui collezione conta circa duecento esemplari, alcuni dei quali esposti alle ciminiere di Catania.