Nel settembre 2008 mi sono trasferita per motivi di studio in Inghilterra. Questa trasferta inglese al momento è solo una parentesi e presto farò rientro a Sciacca. In questi mesi ho avuto la possibilità di confrontarmi con un paese diverso dal nostro, nel bene e nel male, dapprima come semplice turista, poi come parte integrante di questa società. Proverò a raccontare in modo più obiettivo possibile, lasciando a voi le conclusioni, alcuni aspetti di questa nazione, vista con gli occhi di una studentessa italiana.
Dal lato organizzativo – burocratico, la nazione del Principe Carlo non fa una pecca: rapida, puntuale ed efficiente. Un esempio lampante: quando pagai l’alloggio tramite bonifico, con il cambio valuta, l’università ha ricevuto per mio conto una quota superiore a quella che gli dovevo. Me l’hanno fatto subito presente, mi hanno dato un foglio e dopo 5 minuti avevo in tasca il sovra-plus.
L’università che frequento è piccolina, ma molto ben gestita. Esiste una navetta che ogni mezz’ora fa il giro di tutti i padiglioni e le residenze (the accommodations) universitarie, dal lunedì al venerdì, dalle 8 del mattino alle 11 di sera, completamente gratis per studenti e staff universitario. E non solo! Quando ci sono feste organizzate nel pub dell’università, c’è un servizio speciale che porta tutti a casa alle 2 di notte.
Per quanto riguarda le tasse universitarie: in Italia ci sono molte agevolazioni per gli studenti stranieri, lavoratori o in situazioni particolari di reddito. In UK è diverso. Gli studenti extra-europei devono pagare delle tasse universitarie davvero esose, che superano di molto quelle che invece pagano gli studenti europei. Ma questo non impedisce di trovare studenti extra-europei in Inghilterra! La città dove vivo ne è piena e penso che la metà delle persone che abitano nel Regno Unito lo siano.
L’organizzazione universitaria dei corsi: anche qui c’è una triennale, alla fine della quale si è laureati. Con una laurea in tasca, lo studente inglese ha dimostrato d’essere capace e può aspirare a qualsiasi professione. Ho conosciuto chimici che lavorano per il reparto finanze del governo inglese, biologi che lavorano per imprese edili e stimano quanto può venire a costare la costruzione di un palazzo, e così via. Chi decide di continuare a studiare, può pagarsi il MASTER, che non è altro che la nostra laurea di secondo livello, che però in Inghilterra dura solo un anno, consta di pochi esami, per lo più pratici e mirati alla formazione professionale. In seguito si può aspirare ad un dottorato di ricerca, in UK chiamato PhD. In Italia, per ogni università, c’è un numero di borse disponibili e tramite concorso si può accedere al dottorato, che è retribuito. Poche centinaia di euro al mese, ma retribuito. In Italia lo studente s’illude di svolgere un piccolo lavoro e di percepire uno(seppur misero) stipendio mensile. In Inghilterra, lo studente paga l’università per poter fare ricerca! Il dottorato è visto come un altro corso di studi che lo studente decide di frequentare, e quindi di pagare. Poi ogni professore decide quanti studenti PhD volere nel suo staff. In questo modo i soldi per la ricerca non mancano e viene svolta in modo soddisfacente anche a livelli universitari. Di contro uno studente si ritrova a cercare un lavoretto part-time per non doversi fare mantenere ancora dalla famiglia dopo laurea triennale e master.
Nel mondo della moquette si diventa “grandi” precocemente. Ragazzi e ragazze se trovano un buon lavoro, e in UK non è difficile trovarlo, si sposano molto giovani e altrettanto giovani diventano mamme e papà, come le recenti notizie di cronaca ci raccontano. Vi assicuro che non è un fatto isolato quello balzato all’attenzione dei media e che andando in giro per strada è facile incontrare baby – papà e baby –mamme.
Nel paese delle ruote panoramiche non esiste marciapiede che non sia a prova di disabile e tutti i semafori sono dotati di suono per i non vedenti. Inoltre i semafori sono particolari anche per altri aspetti: a Londra ho avuto la possibilità di vedere non solo quello per i ciclisti ma anche quello per i cavalli! I mezzi di trasporto sono molto efficienti, non puntualissimi come mi aspettavo, ma non creano disagi. L’unico problema che treni e autobus sono abbastanza costosi. Ci sono vari sconti per possessori di particolari carte o prenotando prima, ma in generale mirano sempre a spennare. Anche gli autobus di linea cittadina sono abbastanza strambi: il biglietto si fa sull’autobus, dall’autista che fa pagare un prezzo diverso a seconda della fermata in cui si scenderà. Infine in questo strano posto in cui il volante sta a destra, non ho mai incontrato cani senza padrone. Gli unici animali che vagano felici e beati per le strade e per i parchi sono dei deliziosi scoiattoli.
Nel paese della Regina Elisabetta bere birra a qualsiasi ora è uno degli aspetti che contraddistinguono il paese. Nessuno si sottrae all’usanza: donne, anziani, ragazzi e gente anche d’una certa caratura. Non sono leggende. All’uso della birra è accompagnato l’uso del sidro. Ogni supermercato ha un reparto per gli alcolici che è almeno 1/3 dello stesso.
Nella nazione del Thè si punta molto sulla cultura. Ci sono moltissimi teatri con agevolazioni per studenti e ogni spettacolo portato in scena ostenta sfarzosità da ogni lato: dalla scenografia, alla musica, ai costumi, agli artisti. Inoltre in Inghilterra non serve l’attore famoso per richiamare il pubblico a teatro, ma è lo spettacolo stesso a richiamare la gente. Qualsiasi cosa è un pretesto per raccogliere visitatori, per fare turismo. Dai castelli costituiti da pochi massi di pietre a quelli vittoriani, dalle caverne alle fontane, dai luoghi di nascita dei parenti più remoti di Shakespeare ai pub in cui hanno suonato i Beatles. I musei infine sono quasi tutti FREE ADMISSION: non si paga per entrare, accettano di buon grado una donazione, che non è quasi mai obbligatoria.
Concludo questo piccolo viaggio virtuale con l’aspetto culinario. Nella terra del “fish & chips”, non vi sono molti altri cibi tipici, la cucina locale sfrutta molto la “contaminatio” di altri paesi: dall’Italia(con i suoi franchising quali Caffè Nero, Bella Italia, Pesto, Costa…) all’India, alla Libia, alla Cina. Vi sono molti dolciumi ottimi, ma chissà se sono davvero “Made in England”.