Riceviamo e pubblichiamo una simpatica “storiella” inviataci da un nostro concittadino:
C’era una volta, o una volta c’era, in un tempo lontano, un tempo che non so, un paese che si ergeva sulle pendici di un vulcano.
Molti i doni che la natura prodiga elargiva: il sole, il grano, i frutti succosi e pesci generosi. C’erano anche le caverne che, prodigio dato dal Signore, davano agli abitanti salute e calore.
Tante erano le genti e tutte uguali tra di loro.
Uno soltanto tra essi emergeva poiché deteneva il potere, ereditato dal passato, di far entrare dentro alle stufe miracolose, chi voleva o chi si inginocchiava, baciandogli la mano.
Ma anche questo gesto supplente a volte non bastava, poiché lui stesso sapeva che un diritto si pretende, mentre la pietà elargita un altro significato acquista agli occhi della gente.
Così succedeva che alle volte si appuntava e diceva no a chi era biondo o a chi era nano.
In taluni casi poi si soffermava sugli occhi facendo entrare chi li aveva azzurri e lasciando stare fuori gli altri tutti.
Il paese supino e stanco, abituato da decenni al dominio dello Stufaro, ogni cosa accettava e continuava a baciargli la mano.
C’era anche chi lo giustificava.
Si diceva, per esempio, che era così, dall’inizio del tempo.
Ed ancora poi che, in base ad una credenza, era lui che governava il vulcano ed era giusto quindi non tediarlo sennò avrebbe spento tutto e se ne sarebbe andato lontano.
Pochi tra le genti , in particolare i nani o coloro che gli occhi marroni avevano, dentro di loro lo detestavano.
E pochi tra i pochi, invece, avevano il coraggio di andare in piazza a parlare apertamente di cosa era giusto e di cosa invece non lo era e come il regalo dato dal cielo era per tutti e non poteva qualcuno gestirlo in una siffatta maniera.
Di questo movimento sotterraneo, lo Stufaro veniva informato giornalmente da chi, delazionando, voleva ottenere dei vantaggi che l’angusto tiranno riccamente concedeva.
La vita così andava e lentamente si svolgeva.
Il più uguale tra tutti, del resto, sicuro del potere, permetteva anche i lamenti di taluno, tanto lui sapeva che prima o poi anche loro sarebbero tornati ad inginocchiarsi e a baciargli la mano.
Ma la storia che sempre si ripete, a volte ci ripensa, prendendo un’altra piega.
Se fu un caso o una combinazione, oppure tutto accadde per un errore di valutazione, questo non lo. So soltanto che gli eventi andarono verso un’altra direzione quando, scoppiata la peste nella regione, la ridente cittadina ospitò una riunione.
Vennero tutti da ogni dove. C’erano esperti, cerusici, medici e tromboni. C’erano gli anziani e i tiranni degli altri villaggi a rappresentanza di ogni popolazione e c’era anche chi faceva opposizione. C’erano tutti, ma proprio tutti, ad eccezione di uno. Indovinate chi? Il padrone.
La colpa non si scoprì mai di chi fu, forse solamente della concitazione, ma ovviamente l’invito non arrivò mai a destinazione.
L’incontro, però si svolse e si arrivò addirittura ad una decisione.
Si deliberò di salvare la gente portandoli tutti nel ventre del vulcano allontanandoli per un po’ dall’ambiente diventato malsano.
“E lo Stufaro cosa avrebbe fatto”, disse qualcuno alzando la mano.
“Poco ce ne importa”, dissero taluni che fino a prima erano con il tiranno in combutta, facendo prevalere e prendendo forza dalla paura più grossa.
Tutti allora mossero alla volta del palazzo del padrone brandendo forconi. Sembrava una rivolta e forse lo era spinta però non dalla ragione ma dalla disperazione.
Giunti all’ingresso, anche le guardie non fecero opposizione e semplicemente aprirono i cancelli e la rivolta si trasformò in una processione. Nessuno cercava il capo. A più nessuno del resto importa che lo Stufaro cedesse le chiavi del vulcano e tutto in una volta. Giunti dentro le caverne dapprima stupefatti poi sempre più soddisfatti si arrivò definitivamente ad una semplice determinazione: che nessuno può essere degli altri padrone.