La Nestlé e la privatizzazione dell’acqua.
Altro che acqua bene comune! La multinazionale svizzera, già sotto boicottaggio per la sua politica sul latte in polvere per l’infanzia, sostiene che l’oro blù va del tutto affidato alle leggi della domanda e dell’offerta. Altolà dell’Istituto europeo di ricerca sulle politiche dell’acqua. Replica del Comitato italiano per il contratto mondiale dell’acqua.
Petrella: irresponsabili e ridicoli.
Istituire una Borsa dell’acqua. È questa l’ultima uscita della multinazionale Nestlé. Lo ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters il presidente Peter Brabeck, sottolineando che una scelta di questo tipo «così come per altre materie prime, contribuirebbe a regolare il problema della carenza di questo bene prezioso».
Immediata la risposta di Riccardo Petrella, presidente dell’Istituto Europeo di Ricerca sulle Politiche dell’Acqua (Ierpe), il quale ha affermato che si tratta di «una proposta irresponsabile e ridicola».
In un comunicato, la Facoltà dell’acqua, attiva presso il Monastero del bene comune di Verona, spiega che Brabeck vuole “risolvere” il problema della concorrenza, nella regione canadese di Alberta, tra agricoltori che necessitano d’acqua per i raccolti e le compagnie petrolifere che utilizzano ingenti quantità d’acqua per estrarre il petrolio dalle sabbie bituminose. Secondo il presidente della Nestlé, «quando la domanda aumenta, il mercato reagisce e la gente comincia a usare la risorsa in maniera più efficiente».
La proposta di Nestlé ha già trovato consenso nel governo di Alberta che come primo passo, ha inventato la distinzione tra diritti alla terra e diritti all’acqua, in modo che il possesso della terra non dia automaticamente diritto all’acqua che vi scorre. Petrella non ha dubbi sul fatto che «affidare l’acqua alla Borsa significa confiscare ai popoli della Terra un bene comune pubblico insostituibile per la vita, consegnando il futuro della vita di milioni di persone al potere di arricchimento di pochi grandi speculatori finanziari». E aggiunge: «I propagandisti dell’acqua rara (oro blu) sono gli stessi che hanno prodotto la penuria della risorsa idrica imponendo politiche economiche predatrici ed usi insostenibili e inquinanti. Non possiamo permettere a questi gruppi la possibilità e il potere di imporre la loro irresponsabilità. Sarebbe indecente».
Sulla questione è intervenuto anche Rosario Lembo, presidente del Comitato italiano per il contratto mondiale sull’acqua, con una secca replica: «L’acqua non è una merce e pertanto è assurdo creare una Borsa mondiale dell’acqua! La proposta di consolidare un approccio già dominate che punta a classificare l’acqua come una merce a valenza economica, costituisce una provocazione che lascia chiaramente trasparire gli interessi dei principali gruppi economici e finanziari mondiali, e come intendono gestire e governare il bene comune acqua nel corso dei prossimi anni. Questa proposta va rigettata con forza attraverso azioni di contrasto da parte dei cittadini di ogni parte del mondo».
«È assurdo pensare – aggiunge Lembo – che l’accesso all’acqua potabile, che l’Onu ha di recente riconosciuto come un diritto umano, possa essere regolato attraverso una Borsa mondiale, analogamente a quanto è purtroppo avvenuto per il petrolio, i semi, il grano. Non è attraverso lo strumento del prezzo che si può pensare di contrastare la competitività crescente tra gli usi produttivi delle risorse idriche e quindi fra agricoltura ed idroelettrico o di ridurre gli sprechi, affidando all’aumento del prezzo la riduzione dei consumi per superare i trend crescenti di depauperamento e scarsità delle risorse idriche».
E conclude : «Anche in chiave italiana,questa proposta costituisce un campanello di allarme che deve fortemente stimolare gli italiani a recarsi il 12 e 13 giugno a votare i referendum sull’acqua. Per dire forte che l’acqua non è una merce e non appartiene ai mercati e alle Borse, ma ai cittadini che devono farsi carico, in maniera responsabile e solidale, rispetto agli usi ed alle modalità con cui garantirne l’accesso alle future generazioni».
Ricordiamo che i prodotti della multinazionale Nestlé sono sotto boicottaggio da una trentina d’anni per iniziativa della società civile internazionale. Nel 1994 si è costituita la Rete Italiana Boicottaggio Nestlè (RIBN) allo scopo di difendere l’allattamento al seno nei paesi a basso reddito, in collaborazione con reti ed associazioni di altri paesi. Per raggiungere il suo scopo, fino al 2000 la RIBN ha concentrato la sua azione sulle campagne di boicottaggio di Nescafè e Nesquik.
FONTE: agoravox.it