BENI COMUNI. Il ministro del welfare attacca i referendum: «Sono da superare». Il governo gioca tutte le carte contro la volontà di ventisette milioni di italiani. Dura reazione dei movimenti.
Per l’ex socialista craxiano Maurizio Sacconi i referendum non valgono più nulla. Anzi. Sono una specie di palla al piede «da superare», per poter riaprire il fronte delle privatizzazioni. Qualcosa, in sostanza, paragonabile a quei diritti dei lavoratori che il ministro del Welfare ha sempre ritenuto orpelli fastidiosi, come un sciame di zanzare da allontanare a tutti i costi. Poco importa se ventisette milioni di italiani hanno affermato – con un voto storico – che l’acqua non va privatizzata, approvando due quesiti racconti con il numero record di firme, un milione e quattrocento mila. Più del divorzio, più dell’aborto. «Caro Enrico, altro che sorella acqua…», ha spiegato Maurizio Sacconi ad Enrico Letta in una riunione che si è tenuta ieri al Tesoro con Abi e Confindustria. Chiaro e preciso, se qualcuno avesse ancora dubbi sulle reali intenzioni di questo governo.
Non è bastato inserire nella manovra l’articolo quattro, palesemente incostituzionale, che ripropone, con un semplice taglia e cuci, buona parte dell’articolo 23 bis della legge Fitto Ronchi. Una norma che permetterà la privatizzazione di molti servizi pubblici locali, come ha raccontato Terra fin da agosto. Si tratta dei rifiuti, del trasporto locale e di altri servizi che compongono l’essenziale della vita dei cittadini. Una scelta che sembra tanto una cambiale che il governo ha in sospeso con i grandi poteri finanziari, interessati, soprattutto ora, a fare shopping a buon mercato in giro per l’Italia. E dato che poco è rimasto del made in Italy, il boccone appetibile è la gestione dei servizi ai cittadini: anche in tempo di crisi profonda e strutturale, in fondo, gli italiani continueranno a bere, a produrre rifiuti e a muoversi per andare al lavoro.
La dichiarazione del ministro del Welfare – a proposito: che c’entra lui con l’acqua? – ha per ora ottenuto la dura opposizione dei movimenti per l’acqua e dell’opposizione. «Una dichiarazione da codice penale – ha commentato il presidente dei Verdi Angelo Bonelli – perché in Italia c’è il reato di attentato alla Costituzione». Per il leader di Sel le parole di Sacconi suonano come eversive: «Ma quale idea della democrazia ha uno dei massimi esponenti del governo italiano quando in modo sprezzante si augura di trovare il modo per superare l’esito referendario di qualche mese fa sull’acqua pubblica?», ha dichiarato Vendola ieri. Tono duro del Forum per l’acqua pubblica, promotore del referendum di giugno: «Si tratta di una dichiarazione che rappresenta di fatto un “golpe” contro la volontà chiaramente espressa il 12 e il 13 giugno 2011 di 27 milioni di cittadini e garantita dalla nostra Costituzione, la stessa alla quale il ministro Sacconi deve attenersi».
Anche per l’Italia dei valori l’attacco al voto è gravissimo: «Porteremo la questione in Parlamento e alzeremo le barricate contro questo ennesimo atto di arroganza», ha spiegato Leoluca Orlando. La dichiarazione di Sacconi è in realtà l’ultima tappa di una manovra che ha puntato subito dopo il referendum a contrastare la scelta degli elettori. La prima mossa è arrivata il 21 giugno, con l’approvazione all’interno del decreto sviluppo dell’istituzione dell’agenzia delle acque. Dietro quella che potrebbe apparire come una norma di regolazione del settore idrico si nasconde in realtà la volontà dell’esecutivo di mantenere una gestione privatistica. Le autority e le agenzie hanno un senso nella tutela dei consumatori rispetto ad un mercato liberalizzato; le risorse idriche, in realtà, sono di per se un monopolio naturale ed è quindi un controsenso parlare di liberalizzazione.
Non solo. Nelle intercettazioni telefoniche citate all’interno dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola spiccano le parole dell’ingegnere idraulico Roberto Guercio – ordinario all’università di Roma La Sapienza e commissario di governo per l’emergenza dighe – che fa intendere all’editore de L’Avanti di essere il candidato in pectore per uno dei posti all’interno della neonata agenzia. E sempre nelle intercettazioni si parla di colloqui avuti da “Roberto” – ovvero l’ingegner Guercio, come è desumibile dal contesto – con Caltagirone, principale socio privato di Acea, per pianificare una strategia anti referendum. Mentre Guercio conversava sui referendum con Valter Lavitola, il governo preparava la manovra del 13 agosto, con all’interno il frutto avvelenato del ritorno alla politica delle privatizzazioni.
L’acqua è esclusa nell’ultimo comma dalla cessione ai privati, ma è evidente che la reintroduzione della legge Rochi Fitto ha aperto la strada anche a future manovre sul sistema idrico. D’altra parte nessuno ha per ora dato forma di legge al voto. Il secondo quesito prevedeva l’abrogazione della remunerazione del capitale, passaggio chiave per i referendari in vista di una ripubblicizzazione del sistema idrico italiano. Già una settimana dopo il voto del 12 e 13 giugno l’associazione degli ambiti idrici – la parte pubblica del sistema acqua, che include le conferenze dei sindaci – spiegava che la nuova tariffa rispondente all’esito dei referendum doveva essere varata dall’agenzia dell’acqua.
Un cerchio che si chiude. Nessun ambito idrico ha poi rivisto le bollette, escludendo il 7% di remunerazione del capitale, neanche nelle Regioni sulla carta più vicine ai referendari, come la Puglia. Anzi: a Bari l’assessore Amati, Pd, ha subito chiarito di non avere nessuna intenzione di ridurre le tariffe, con un annuncio supportato dallo stesso governatore Nichi Vendola. Le dichiarazioni di Sacconi sembrano tradire la vocazione “antidemocratica” dell’esecutivo, su un tema sensibile come quello dell’acqua. La stessa espressione «altro che sorella acqua…» usata dal ministro del Welfare è sintomatica. E tornano alla mente gli ultimi giorni di Weimar.
di Andrea Palladino
Fonte: terranews.it