Una saccense, che da tantissimo tempo vive a Roma, ha inviato una lettera alla redazione del corrieredisciacca.it. Narra di una storia ricca di amore e di passione per la nostra Sciacca che, con tutti i suoi difetti, è difficile da dimenticare, soprattutto per chi l’abbandona per esigenze lavorative che purtroppo la nostra Sicilia e, in particolare, la nostra Sciacca non sono in grado di soddisfare.
Caro Direttore,
leggo spesso il suo giornale, mi chiamo Francesca ho 39 anni , vivo a Roma da 16 anni ma sono siciliana e precisamente di Sciacca. Ho un fratello, sposato con 3 figli che vive a Trento (da 17 anni), dove vive anche mia sorella da 4 anni. Ho lasciato la mia casa a 23 anni. A quell’età ti senti grande, matura e lo sei quando inizi a lavorare a 14 anni. Il mio papà, mastro carpentiere, un gran lavoratore, un uomo con una grande umanità e dignità. Ma con un lavoro, il carpentiere, sempre sottopagato e molto spesso pagato in nero. Con tre figli, una moglie e un affitto da pagare è difficile andare avanti. Ma non ci ha mai fatto mancare nulla.
Ma tu a 14 anni ti rendi conto che devi aiutare la tua famiglia e accetti di lavorare come commessa in un negozio con una retribuzione di 150.000 mila lire mensile. Un grande aiuto non trova? Poi all’età di 18 anni ti rendi conto che devi cambiare la tua vita e decidi di riprendere gli studi. Ragioneria serale, così puoi continuare a lavorare e studiare. Passano cinque anni e finalmente riesci a conseguire il diploma, massimo dei voti. Ti rendi conto però che nel tuo paese l’unica scelta è quella di lavorare come commessa in qualche negozio con uno stipendio misero che non tieni tu ma dai alla tua famiglia.
Allora prendi la decisione di andare via, Roma e continuare gli studi Corso d’Infermiera, presso l’università. Un corso sicuro che ti permette di lavorare subito. Fai la tua valigia, lasci i tuoi affetti e parti con la consapevolezza che dovrai cavartela da sola, perché già sai che la tua famiglia non potrà aiutarti. Ma a 23 anni ti senti forte e sicura. Vai a vivere dentro un convitto di suore, un posto letto dentro una stanza piccolissima che dividi con altre due ragazze. Un bagno con 3 docce, 4 lavandini, 2 water e uno scaldabagno piccolo da dividere con 15 ragazze. Le lascio immaginare, le suore per carità.
Trovi lavoretti e riesci a mantenerti, senza chiedere soldi a casa. Termini gli studi (passano tre anni) con il massimo dei voti e inizi subito a lavorare. Ti affitti una casa e ti senti fiera di te stessa. Passano 16 anni e a volte ti volti indietro, quanti pianti, quante volte sei stata sul punto di mollare tutto, ma non lo hai mai fatto perché sapevi che se tornavi a casa non avresti avuto un futuro lavorativo. E poi se lo avessi fatto non avrei potuto aiutare i miei genitori, perché mio padre non lavora più da 3 anni. Adesso alla soglia di 40 anni, mi rendo conto che mi manca la mia casa.
Mi mancano gli affetti. Roma è una bella città ma con degli affitti alti, e di certo qui con le mie possibilità non riesco a comprarmi una casa. Il mio sogno. Giù a Sciacca potrei farlo, le case costano molto meno. Ho fatto domanda di trasferimento all’INPS ma si figuri è un’utopia. Sono venuta a Sciacca per Capodanno. E’ strano ma apprezzi il tuo paese quando sei lontano. Amo Sciacca, mi piace girare a piedi per il paese. Mi manca la mia famiglia, sarà l’età. Con mia sorella (lei lavora come OSS in una clinica pubblica a Trento) sogniamo di ritornare a casa, di comprarci una casetta e poter stare nella nostra terra. Io dico sempre “puoi stare nella città più bella del mondo, ma non sarà mai come casa tua”.
Perdoni il mio sfogo le ho scritto perché la mia storia è la storia di tanti che come me sono costretti a lasciare la propria terra per poter avere un avvenire migliore, ma molto spesso nessuno sa a quale prezzo e sacrificio si fa.
Con affetto,
Francesca
Fonte: corrieredisciacca.it