Un Piano Blu per la Sicilia. Contro le trivelle, per il mare.


Da troppo tempo sappiamo quanto sia urgente modificare le politiche e i comportamenti che hanno causato impatti profondi, e talvolta irreversibili, sulle risorse ambientali. Lo stato delle risorse del mare e in particolare del Mediterraneo, ci impone interventi trasversali, che devono andare oltre le “politiche dell’ambiente”, troppo spesso una foglia di fico che copre vergogne non più tollerabili.

Il “boom” delle trivellazioni offshore promosso dal “Governo Tecnico” è la spia di un rapporto malato: si consegnano nelle mani di pochi soggetti le risorse naturali, invece di affrontare temi che sono assolutamente trasversali. Stiamo parlando dell’emergenza climatica, della nostra (in)dipendenza energetica (le migliori stime ci dicono che tutto il petrolio offshore del mare non basterebbe a
soddisfare il nostro fabbisogno nemmeno per due mesi). A questo dobbiamo aggiungere gli impatti socio-sanitari e le minacce alle risorse naturali (comprese quelle del mare) con le loro implicazioni socio-economiche, a cominciare da settori importanti quali la pesca e il turismo.

Non è certo la prima volta che a fronte di valutazioni economiche e “sviluppiste” (o presunte tali) la politica considera con fastidio la tutela delle comunità locali, della loro cultura, dei loro interessi e delle risorse naturali. È un atteggiamento che ha fatto si che le politiche ambientali non siano mai davvero entrate a far parte del “sistema”, mantenendo invece un ruolo relativo, di nicchia. Oppure, se si preferisce, di “foglia di fico” che copre luride vergogne.

Esistono tuttavia segnali, anche istituzionali, che dicono chiaramente che questa rotta va cambiata e che la Regione Siciliana, e l’Italia intera, può uscire da questa spirale pericolosa. Ad esempio, la “Direttiva sulla Strategia Marina” (Dir.2008/56) stabilisce che gli Stati Membri “devono elaborare le proprie strategie, in collaborazione con gli Stati membri e gli Stati terzi, per il raggiungimento di un buono stato ecologico nelle acque marine di cui sono responsabili” e che per far ciò, “devono anzitutto valutare lo stato ecologico delle loro acque e l’impatto delle attività umane.

La “Direttiva sulla Strategia Marina” è oggi nella sua fase iniziale di applicazione e la Regione Siciliana è capofila per l’applicazione della strategia nella sub-area dello Stretto di Sicilia/Mar Ionio. Com’è evidente, la Strategia Marina prevede un’integrazione tra politiche produttive e ambiente, e non la scontata prevaricazione delle prime a danno degli interessi collettivi.

Usando i termini della Commissione Europea, le trivellazioni offshore sono in “concorrenza” con attività quali il turismo e la pesca: bisogna decidere cosa vogliamo e cosa rifiutiamo. In altre parole, bisogna scegliere.

Greenpeace ritiene che per scongiurare la minaccia delle ricerche di idrocarburi offshore nello Stretto di Sicilia e per ridare una speranza al nostro mare, sia necessario partire dalla crisi delle risorse del mare e dalle potenzialità che esse hanno e su questo impostare politiche multi-settoriali, che facciano del mare il “petrolio” dello sviluppo dell’economia della più grande isola del Mediterraneo.

Decine di amministratori, politici, personalità, migliaia di cittadini e le principali associazioni della pesca, aderendo all’appello lanciato da Greenpeace la scorsa estate, hanno detto a gran voce che le trivelle non sono compatibili con l’interesse generale dei cittadini (si badi bene: non solo dei cittadini siciliani!). Il precedente Governo Regionale siciliano ha fatto suo quest’appello, al quale aderì in
campagna elettorale anche il candidato alla Presidenza della Regione Sicilia, l’On. Rosario Crocetta. Attendiamo adesso dall’attuale Governo della Regione Siciliana atti conseguenti che diano sostanza a questa coraggiosa presa di posizione.

In particolare, chiediamo:

  • un atto di indirizzo esplicitamente contrario alle trivellazioni offshore che tra l’altro renda obbligatorio un intervento istituzionale della Regione in ogni sede possibile con atti formali (note, pareri, ecc…) e in particolar modo in sede di valutazione dell’impatto ambientale (procedura VIA) dei progetti di ricerca e estrazione off-shore. Tale impegno a intervenire nelle procedure di VIA è stato promesso lo scorso 12 febbraio nel corso dell’audizione presso la Commissione Ambiente dell’ARS da rappresentanti dell’Assessorato all’Ambiente Regionale;
  • la presentazione immediata di osservazioni alla procedura di VIA relativa alle concessioni d-29 GR NP e d-30 GR NP, che è stata di recente attivata per un’area marina ampia oltre 1.300 kmq a poche miglia dalla costa agrigentina, come già segnalato al Governo regionale;
  • un’immediata richiesta di accesso agli atti dei processi di autorizzazione a esplorazioni e coltivazioni per idrocarburi, già conclusi o ancora in itinere, per capire se casi scandalosi – come quello, sventato grazie ai comitati locali, della San Leon Energy – siano episodi isolati oppure se per anni i Ministeri “competenti” hanno dato il via libera a soggetti ovviamente non competenti e dunque pericolosi per la collettività;
  • un’azione rapida che si basi sulla specificità dello Statuto della Regione Siciliana che ha competenza esclusiva, ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, in materia di tutela del paesaggio. Tale competenza inoltre, sia alla luce di quanto genericamente stabilito dall’art. 117 della Costituzione sia in forza delle proprie previsioni statutarie, e in particolare dell’art.14, può essere utilizzata al fine di vincolare al proprio assenso il rilascio di autorizzazioni a progetti come le trivellazioni offshore che, per la loro vicinanza alla costa, sono certamente suscettibili di impatti negativi sul territorio regionale: per maggiori dettagli si veda l’Allegato a questo documento;
  • per le peculiari prerogative statutarie, la Regione Siciliana può svolgere in seno alla Conferenza Stato Regioni un ruolo da capofila, di collegamento e coordinamento con le altre Regioni che non intendono subire passivamente le decisioni del Governo in tema trivellazioni in mare. Questo con l’obiettivo di giungere ad un’effettiva “intesa forte” tra Stato e Regioni per le autorizzazioni, ovvero a un atto necessariamente bilaterale, ove il parere della Regione sia obbligatoriamente preso in considerazione.
  • infine, è doverosa una iniziativa politica per una immediata verifica (e successiva rapida applicazione) per un sostanzioso incremento
  • dell’imposizione fiscale che annulli lo scandaloso vantaggio (di fatto: una esplicita incentivazione) di cui godono le trivellazioni offshore.

Il governo del mare non può essere limitato alla ridotta fascia costiera delle acque territoriali. Lo Stretto o Canale di Sicilia non fa eccezione a questa regola e la richiesta di attivare una Zona di Protezione Ecologica (ZPE, ai sensi della Legge 8 febbraio 2006, n. 61) in quest’area dovrebbe essere uno dei punti di maggior “pressione” della Regione Siciliana sul governo centrale. Questa norma, che permette di applicare le leggi di protezione ambientale in acque oltre le 12 miglia è già vigente nel Mar Ligure e nel Mar Tirreno (DPR 27 ottobre 2011, n. 209). Quindi, per la Sicilia, “vale” per la costa nord (tirrenica) ma non per il resto (Canale di Sicilia e Mar Ionio).

Sulla base delle norme vigenti, la Regione Siciliana dovrebbe quindi chiedere al governo di negoziare rapidamente la ZPE considerando che:

  • è vigente nello Stretto di Sicilia un accordo tra Italia e Tunisia per lo sfruttamento delle risorse del fondo marino, che definisce una chiara linea di divisione. Non sarebbe quindi impossibile richiedere che la ZPE ricalchi i medesimi confini;
  • nel 1971 Malta ha addirittura stabilito (senza chieder nulla all’Italia, a quel che sappiamo) una Zona di Pesca Esclusiva di 25 miglia attorno all’arcipelago maltese. Dopo l’accesso all’UE, l’area di “pesca esclusiva” maltese è diventata una Zona di Conservazione e Gestione della Pesca (ZCGP). Notiamo che tale ZCGP arriva ben oltre la “linea di mezzeria” rispetto alla costa siciliana.

Tra l’altro, lo scorso 27 dicembre 2012 è stata “fulmineamente” allargata la “zona di trivellazione C” nello Stretto di Sicilia, estendendola fino ai limiti della ZCGP maltese. Perché da anni ci dicono che per tutelare l’ambiente servono accordi internazionali
complicati mentre per le trivelle ci si mette un attimo?

Integrare in un unico “progetto” – un Piano Blu della Sicilia – ambiente, cultura, società ed economia è un’impresa complessa, necessaria e decisiva per garantire una gestione efficace e delle attività che si svolgono in mare. Un piano di questo tipo dovrebbe tra l’altro affrontare questioni quali:

  • pesca: lotta alla pesca illegale e a quella eccessiva e distruttiva (compresa certa pesca “sportiva” e l’invadente presenza di flotte “straniere”), tutela della pesca artigianale sostenibile, riduzione dello sforzo per gli attrezzi più impattanti, obiettivi vincolanti per il miglioramento della gestione con il fine dell’aumento delle risorse (quali, ad esempio, l’aumento della selettività degli attrezzi), monitoraggio e controllo delle attività di pesca, ecc…;
  • aree protette: adozione di misure di tutela per i siti costieri (entro 12 miglia) e poi, grazie alla ZPE anche per quelli oltre le 12 miglia dalla costa. Questa rete serve a proteggere la diversità biologica dei mari intorno alla Sicilia e i siti di riproduzione e accrescimento dei giovanili delle specie oggetto di pesca. I pescatori devono essere tra gli attori da coinvolgere per garantire il successo di questa “rete blu”;
  • trasporti: oltre all’aspetto “energetico” dei trasporti e alle questioni portuali, si deve porre con forza la questione della sicurezza della navigazione (compresa la prevenzione dei rischi ambientali) in un mare trafficato come il Canale di Sicilia. Esistono sistemi di controllo satellitare delle rotte (utili soprattutto per i carichi più pericolosi) e si potrebbe discutere di una possibile canalizzazione delle rotte in alcune aree;
  • urbanizzazione: si dovrebbe riflettere sulla possibilità di inclusione del “territorio mare” negli strumenti di pianificazione, con la definizione dei limiti di impatto “accettabili” delle infrastrutture che si affacciano al mare;
  • turismo/cultura: una visione di ampio respiro delle politiche del mare in Sicilia non può trascurare e sottovalutare gli aspetti identitari, culturali e sociali che tra l’altro possono essere promossi con una saggia e lungimirante valorizzazione dei beni culturali, della tradizione marina e del paesaggio costiero. La gamma delle opzioni è sconfinata: una rete di “ospitalità blu” che coinvolga le strutture recettive in iniziative di tutela ambientale riferite in particolare al mare, iniziative museali (un “Museo del Mare diffuso”) per rappresentare storia, tradizioni, mestieri, una rete di sentieri della costa (a tema: naturalistico, storico…), iniziative di promozione dei prodotti ittici sostenibili…

È questo il vero “petrolio” della Sicilia: è meglio l’Oro blu, dell’oro nero!

Roma, 5 aprile 2013

Leggi Un Piano Blu per il mare di Sicilia 

Fonte: greenpeace.org

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