Imbocco per la milionesima volta la Palermo-Sciacca, la statale 624 chiamata anche fondovalle, che taglia in due la Sicilia Occidentale.
Percorrere questa strada in questo periodo significa attraversare un paesaggio tra i più belli. Verde ovunque, ancora per poco, talvolta colline con cipressi, uliveti e soprattutto vigneti che proprio in queste settimane esprimono la massima intensità di colore e di foglie. Le coltivazioni di uva si lasciano ammirare sulle alte colline ma lambiscono la strada, soprattutto dopo i primi 20 chilometri, quando davanti ai vostri occhi si spalanca la valle dello Jato. Da quel momento infatti è un unico immenso palcoscenico dove la vite è protagonista e lo sarà per circa trenta, quaranta chilometri. Ora chiunque attraversi questa strada, soprattutto non siciliano perchè i siciliani lo sanno già, si accorgerebbe che qui si produce vino, che c’è una straordinaria vocazione per il vino. Peccato però che non ci sia nulla che lo ricordi. Qualche cartello aziendale sparuto, niente di più. Eppure si attraversano i territori di alcune Doc, tra cui Monreale e Contessa Entellina. E comunque, Doc a parte, è davvero insolito e privo di senso che non ci sia qualcosa che faccia capire che stiamo attraversando un territorio tra i più vitati d’Italia. Non c’è nulla. Eppure in quei 40 chilometri di strada si concentrano piccole e grandi cantine siciliane, marchi storici e produttori emergenti, aziende da centomila e da tre milioni di bottiglie. Di tutto, insomma. E di più. Eppure niente. La solita sconfitta del buon senso, quello che servirebbe per dire che una volta tanto fare qualcosa insieme sarebbe utile a tutti. Un cartello che indicasse i territori delle Doc o un altro che indicasse tutte le cantine presenti non costerebbe nulla e sarebbe un bel richiamo enoturistico per tutta la zona.
E se proprio vogliamo fantasticare ci immaginiamo pure la creazione di un wine shop lungo la strada che venda tutte le etichette delle aziende (non ci risultano enoteche nelle vicinanze) e che magari consenta di acquistare altri prodotti come la Vastedda del Belice o della ricotta calda quando è il periodo migliore. Cose di qualità non per truffare i forestieri e sotto il controllo delle stesse aziende. Forse siamo troppo sognatori ma davvero non si potrebbe osare? Non possiamo credere che sarebbe inutile nè tanto meno che ogni cantina non abbia il bisogno di aggregarsi nel segno di una identità territoriale. E non ci si venga a dire che queste cose dovrebbero farle le istituzioni, i comuni o altri enti pubblici. Qui tocca al privato. E se i produttori si muovessero sarebbe determinante. Già, i produttori. Tanto lungimiranti e illuminati all’estero quando calcano le passerelle delle fiere e delle degustazioni. E tanto miopi a casa propria?
F.C.
Fonte: cronachedigusto.it