Nuova ricerca conferma la correlazione statistica tra fratturazione idraulica e sismi, e simula al computer il meccanismo. Dati impressionanti: da un terremoto l’anno si è passati a una media di 44. Ma servono altri studi, concludono gli studiosi.
di ALESSIO SGHERZA
WASHINGTON – Un nuovo studio pubblicato oggi su Science rilancia le paure delle conseguenze dell’estrazione di gas e petrolio attraverso il meccanismo di fracking, ed è destinato a far discutere. Secondo la ricerca, guidata dalla sismologa Katie Keranen della Cornell University, in Oklahoma sono bastati quattro impianti di fracking per dare vita a una reazione a catena che ha causato oltre 100 terremoti piccoli e medi in 5 anni.
Il fracking, o fratturazione idraulica, è una tecnica sviluppata per liberare gas e petrolio conservato all’interno delle rocce nel sottosuolo, usando potenti getti di licquidi che spezzano le rocce e rilasciano questi prodotti, che possono essere convogliati in superficie per produrre energia. Quest’attività produce dell’acqua di scarto che viene poi immessa nel terreno, causando l’aumento dell’attività sismica.
I dati sull’aumento del terremoto sono impressionanti: dal 1976 al 2007, l’Oklahoma ogni anno aveva registrato un solo terremoto di magnitudo 3 o maggiore. Ma dal 2008 al 2013 i terremoti di quella magnitudo sono stati 44 ogni anno.
La novità di questo studio – rispetto ad altri studi che già avevano correlato statisticamente fracking e terremoti in Oklahoma, Texas, Arkansas e Kansas – è che utilizza simulazioni computerizzate del meccanismo di ‘viaggio’ dell’acqua nel sottosuolo.
Non solo sono aumentati i terremoti, dice lo studio: i sismi sono stati registrati molto più lontano dall’impianto di quanto ci si sarebbe aspettato. Il dibattito sulla pericolosità del fracking va avanti da anni, e questo studio sicuramente alimenterà le proteste di chi si oppone a questo tipo di attività.
I quattro impianti presi in considerazione in Oklahoma riversano nel terreno, a due o tre chilometri di profondità quasi 20 milioni di litri di liquido al giorno. Tutta questa pressione, spiegano gli autori, “creano una pressione che deve andare da qualche parte”. La Keranen ha spiegato che l’acqua si sposta sottoterra con molta più velocità e molto più lontano, andando a toccare linee di faglia che – già attive – non possono fare altro che muoversi di più.
Lo studio quindi sembra confermare che in zone di faglia non attive, il fracking possa dare l’impulso al sisma e aumentare numero e intensità dei terremoti. Però le conclusioni dello studio non devono essere considerate definitive, perché secondo la Keranen mancano ancora dettagli sull’iniezione di liquidi.
Fonte: repubblica.it