“Don Carmè l’ufficio anagrafe ha risposto alla nostra richiesta e chiedono il versamento di 300 euro per fornirci i dati relativi alla popolazione di Fontanelle”. A comunicarmi l’esito della richiesta avanzata al Comune di Agrigento è il referente per il territorio del Consiglio pastorale della parrocchia San Nicola a cui il Consiglio aveva demandato il compito di fornire, in vista della lettura del territorio parrocchiale, un quadro quanto più esaustivo della popolazione residente nel quartiere. Dinnanzi alla richiesta del Comune mi rassegno, perché la parrocchia non può permettersi di spendere quella somma per avere quei dati. Alla discussione assiste un’altra persona. “Nessun problema quei dati glieli fornisco io”. “Lei?” – ribatto – “Si io!” mi risponde con un sorriso sornione il mio interlocutore. “E come mai – chiedo – è in possesso di quei dati?”. “Ci stiamo preparando alle prossime elezioni” è la risposta. Vengo a sapere dopo che il tizio è stato incaricato per una coalizione che si presenta alle prossime amministrative di “mappare” il territorio. Con quali scopi è fin troppo semplice intuire…
“Don Carmè la posso disturbarla?” Mi chiede la signora Giuseppina fermandomi per strada. “Prego mi dica signora”. “Posso permettermi di chiedere il voto per …” e tira fuori dalla borsa un “santino elettorale” con la bella faccia del signore che si candida alle prossime amministrative. “E perché dovrei votarlo?” chiedo. “Sa, sono disperata per mio figlio che ha 30 anni e non sa cosa sia un giorno di lavoro, questo signore ha promesso un posto di lavoro a mio figlio, mi ha dato una speranza che …”.
Ho voluto riportare questi due fatti perché a mio avviso bene delineano i contorni dentro cui ci si appresta a votare tra qualche giorno per il rinnovo dell’Amministrazione e per il Consiglio Comunale. Non trovo altro termine che “disonesto!” per definire chi in questi giorni di campagna elettorale “gioca” sui bisogni primari della gente, promettendo posti di lavoro o assunzioni, raccogliendo curricula con la promessa del posto in cambio del voto, o chi approfitta di una posizione dominante per fare pressione o estorcere anche con il “ricatto” e il “controllo” il voto della gente che secondo l’articolo 48 della Costituzione “è personale ed eguale, libero e segreto”.
A costoro va detto, con risolutezza, che giocare sui bisogni della gente è disonesto e chi si lascia coinvolgere in logiche del genere si farà solo del male perché svende la propria preferenza elettorale per qualcosa che probabilmente non arriverà mai. Una cosa è certa però: nessuno “acquisterebbe voti” se non fosse certo di poterli controllare. E nessuno baratterebbe il proprio voto se non fosse capace di dimostrarlo. E come si controllano i voti? I metodi sono tanti… In questi giorni, ecco perché ho raccontato il primo episodio, ho assistito ad una scena, dove c’era un “Tizio” che chiedeva il voto per “Caio”. E fin qui nulla di strano. Il “Tizio”, però, non si è limitato solo alla proposta, ma, dopo avere strappato (per convinzione?) una promessa di voto, ha chiesto all’interlocutore di dirgli anche luogo e numero della sezione in cui votava.
Davanti a questa scena, e da noi, mi dicono, richieste del genere sono all’ordine del giorno, mi sono chiesto, ma il cittadino agrigentino è libero di votare? Non è questa una palese violazione dell’art. 48 della Costituzione? Ma ancora “l’attività di monitoraggio” appena esposta qui nella sua formula più semplice, limita la libertà degli elettori o no? Chiedere il numero e il luogo della sezione, al fine di controllare se effettivamente “Caio” ha votato per “Tizio”, non è una forma d’intimidazione? Mi chiedo ancora: e se a chiedere il luogo e il numero della sezione è il tuo datore di lavoro? Il capo ufficio? Un tuo diretto superiore? Chi ha appena promesso di dare un posto di lavoro a tuo figlio? Chi in strutture pubbliche rende servizi primari? Davanti a queste sottili forme di ricatto due sono le possibilità: non fornire il numero e il luogo della propria sezione, o l’istituzione di sezioni elettorali uniche, senza numero di sezione, dotate di un computer collegato all’ufficio elettorale del comune. O ancora chiedere che lo scrutinio non si effettui nei singoli seggi, ma a seggi unificati in modo da rendere impossibile il collegamento elettore-voto-seggio. So bene che per attuare la seconda ipotesi bisogna modificare la legge elettorale. Ma prima ancora serve un sussulto di dignità: non svendiamo il nostro voto!
Il 31 maggio ed il 1 giugno ci viene consegnata “un’arma” (la matita, la scheda, il segreto dell’urna) per esercitare la libertà di cittadini non più vittime di clientele, non più schiavi di padroni vecchi e nuovi che, seppur mai completamente affrancati da bisogni e necessità (e chi non ne ha?), hanno un’opportunità – la più importante e decisiva ogni cinque anni – per decidere come e da chi farsi amministrare. Perché, poi, lamentarsi servirà molto poco! Avremo questo coraggio? Ci riconosceremo questa dignità?
Carmelo Petrone
Fonte: lamicodelpopolo.it