Riportiamo qui di seguito l’articolo di Attilio Bolzoni, pubblicato oggi su repubblica.it, che descrive la reale tragica condizione in cui versa la viabilità della nostra amata isola. E’ obbligo di ciascuno di noi individuare e assegnare le responsabilità della drammatica situazione che stiamo vivendo in Sicilia e che quasi certamente lasceremo in eredità alle prossime generazioni. Ricordiamocene al momento opportuno quando dovremo scegliere gli amministratori.
Non c’è solo il caso di Palermo e Catania separate a marzo dal crollo di un pilone. Ecco come si vive nell’isola con 5mila chilometri di asfalto inaccessibili sui 20mila totali.
di ATTILIO BOLZONI – 15 giugno 2015
VLLAROSA (ENNA). Come tutti i suoi concittadini il sindaco attraversa il ponte a piedi, ottanta metri all’andata e ottanta al ritorno. Così risparmia 116 chilometri di curve e tornanti. Prima scende dalla sua auto sulla riva sinistra del fiume, poi sale su un’altra auto sulla riva destra. C’è sempre un amico o un parente che l’aspetta su una sponda del Salso, corso d’acqua salato che s’insinua fra le miniere di zolfo abbandonate. Sembra un posto di frontiera questo ponte costruito dagli americani subito dopo la Seconda guerra, e in effetti confine è, confine fra province e ultima stazione di un’isola popolata da isolati.
La frana che ha spezzato in due la statale numero 121 fra il territorio di Enna a quello di Caltanissetta ha ufficialmente dichiarato Villarosa il paese più lontano e irraggiungibile di una Sicilia dove ormai ci sono cinquemila chilometri di strade interrotte su ventimila, viadotti che crollano, piloni che si accartocciano, svincoli sbarrati, carreggiate provinciali e comunali impercorribili, incroci che sono diventati un labirinto dove tutti si perdono e si disperano. Ci si arrampica sulle montagne, si riscoprono antiche trazzere borboniche, si precipita dalle colline al mare come su un ottovolante. Con Palermo e Catania che non sono mai state così distanti – 4 ore di macchina – da quando nel 1970 hanno inaugurato quell’A 19 che oggi è incubo e metafora della Sicilia in disfacimento.
È proprio qui, lungo l’autostrada che la taglia trasversalmente, in località Cinque Archi, che c’è il punto più disgraziato del disastro geologico – viario annunciato. Sulle mappe Villarosa è un puntino in mezzo a una valle, dietro un curvone il viadotto dell’autostrada pericolante che è sotto sequestro giudiziario, poi il ponte sul Salso. È la sola via veloce d’ingresso e d’uscita dal paese, ma da quando – il 18 marzo – uno smottamento sulla statale 121 ne ha ostruito il passo, tutti si sono organizzati per superare quegli ottanta metri che li dividono dal resto del mondo. A cominciare dal sindaco Franco Costanza e a seguire dagli infermieri e dagli studenti di Villarosa che ogni giorno devono raggiungere Caltanissetta, dagli impiegati di banca e dal farmacista di Caltanissetta che ogni giorno devono raggiungere Villarosa. C’è soltanto da oltrepassare a piedi il ponte con qualcuno che dà assistenza di qua o di là con un altro mezzo, altrimenti bisogna fare un giro dell’oca che – deviazione su deviazione – 58 chilometri dopo ti fa arrivare a Caltanissetta. Tempo minimo del tragitto: un’ora e un quarto. Esattamente sessanta minuti in meno di quanto, nel 1933, ci impiegava a dorso di mulo Gioacchino Nigrelli, pensionato delle Poste novantatreenne: “Io però tagliavo per i sentieri di campagna”.
Isolati, la Sicilia rimasta a piedi
Il sindaco Franco Costanza va avanti e indietro dalla prefettura di Enna: “Per rimuovere la frana, aggiustare la strada, risistemare l’alveo del fiume e incamiciare i piloni dell’autostrada ci vogliono 4,5 milioni”. Ce ne vorranno altri 200 per rimettere a posto tutta l’A 19, l’Anas però ne ha messi in cantiere appena 9. E ci vorranno almeno 2 miliardi di euro per riaprire e garantire la manutenzione di tutte le maledette strade siciliane.
Soldi che certo non pescheranno nelle acque del Salso sotto i Cinque Archi dove Goethe – coincidenze della storia – nell’aprile del 1787 durante il suo Grand Tour in Italia provò il brivido di guadare il fiume salato rimanendo impressionato “nel vedere uomini nerboruti caricarsi cavalieri” per trasportarli dall’altra parte.
Partire da Villarosa e darsi come meta Agrigento o Palermo in questi mesi è una follia. Camminamenti tortuosi, cartelli di “alt” e di “pericolo”, raccordi improvvisati, segnali lampeggianti, frecce luminose, svoltare a destra e svoltare a sinistra, un moto perpetuo per ritrovarsi dopo due o tre ore sempre a pochi chilometri da casa. Da Villarosa – via Caltanissetta – fino a Canicattì, è il viaggio quotidiano dell’imprenditore agricolo Vincenzo Misuraca. Prima va verso Enna, poi gira per Caltanissetta, segue la targa “Valle dei Templi 73 km” ma dopo duemila metri un muro di cemento lo costringe a fare una spericolata manovra e immettersi sulla superveloce per Gela. Sale un’altra volta per Caltanissetta, al bivio si spalanca lo “spettacolo ” della statale 640 con biforcazioni da luna park. La stanno trasformando in autostrada, un miliardo 533 milioni di costo preventivato, il logo onnipresente della ravennate Cmc che ha preso l’appalto ( con la catanese Tecnis), polvere in cielo e bitume vomitato nei campi. Questa è la famosa “strada della legalità”, così battezzata perché “antimafiosi ” si sono autoproclamati gli sponsor politici e imprenditoriali. Mai un attentato durante i lavori, mai un rogo, neanche lo scoppio di un petardo. Per chi conosce come vanno certe cose non ci sono molte spiegazioni: o fra Caltanissetta e Agrigento è scomparsa definitivamente la mafia o si sono messi tutti d’accordo.
Palermo a destra o Palermo a sinistra? Meglio tornare indietro, distrarsi significa non ritrovare più la strada. Palermo a destra o Palermo a sinistra? Da quando il 9 aprile il viadotto Imera ha ceduto, la capitale della Sicilia è un miraggio, circolazione a corsie alternate fino al km 73 dove un cartello avverte che l’autostrada è morta e l’isola spaccata in due. C’è il bivio di Tremonzelli, comincia l’odissea delle Madonie. Ventidue chilometri in su e ventitré in giù, sfiorando Castellana, entrando a Polizzi Generosa, passando sotto le Petralie per poi rotolare sconvolti dentro il Mar Tirreno. Il paese di Polizzi, appollaiato sul suo monte, non conosceva tanta affollamento dal 1535, l’anno in cui Carlo V lo visitò da imperatore.
Filippo Lo Verde è il proprietario del primo bar di Polizzi venendo da est: “Questa è diventata la principale arteria della Sicilia, ma fino al giorno prima del cedimento del viadotto Imera era chiusa da mesi per una frana: l’hanno riaperta magicamente per l’emergenza”. Era così vietata al transito che Lo Verde – che ha casa in campagna a pochi minuti in direzione di Scillato – fino a quel 9 aprile per dare un po’ d’acqua alle piante doveva fare un volteggio di 60 chilometri. Chiusa da quindici anni anche la strada che da Polizzi porta alla neve di Piano Battaglia. Crollato un ponte sulla Palermo – Sciacca, chiusa la sopraelevata fra Porto Empedocle e Agrigento, chiusa tutta la Sicilia. Ed è ancora ripiegato su se stesso anche il ponte Scorciavacche sulla Palermo – Agrigento, quello inaugurato prima di Natale e caracollato prima di Capodanno. A proposito della Palermo – Agrigento, nelle carte dei carabinieri del Ros c’è un’intercettazione che chiarisce cosa si muove sempre sotto quelle strade e quei ponti: “Lì c’era un giro di bustarelle da far paura”.
Fonte: repubblica.it