Come dicono i cittadini di Reggio Emilia che hanno lottato per l’acqua pubblica, questa non è democrazia.
Emilia Romagna – Nella città emiliana scade il contratto con la multiutility e l’ex amministrazione aveva appoggiato la richiesta di passare a una gestione pubblica, commissionando anche uno studio di fattibilità. All’improvviso però il passo indietro votato in direzione provinciale. E sono ricominciate le proteste: “Questa non è democrazia. Buttano via un lungo percorso”. E c’è chi sospetta l’intervento da Roma dell’ex sindaco e ora ministro dei Trasporti Delrio: “Con lui era iniziato l’iter, ora non parla”.
di Silvia Bia | 20 giugno 2015
“Non può essere un partito a decidere per i cittadini. Questa non è democrazia. E’ un tradimento e basta”. Per tutta Italia, ancora prima di diventarla, Reggio Emilia era già la città simbolo del ritorno all’acqua pubblica e di un segnale di cambiamento possibile verso la ripubblicazione dei servizi. Ma dopo il sì del referendum del 12 e 13 giugno 2011 e promesse e documenti ufficiali che prevedevano di sganciarsi dal privato, al momento di fare il passo decisivo il Pd ha ingranato la retromarcia. E adesso i comitati tornano in piazza, decisi a far rispettare agli amministratori gli impegni presi quattro anni fa e a svincolarsi dalla multiutility quotata in Borsa Iren, attuale gestore del servizio idrico in scadenza. “La rabbia è che abbiamo fatto un percorso, ci sono tutte le condizioni, ma manca il ruolo della politica, che forse ha interesse a rimanere con Iren”, spiega Tommaso Dotti del comitato Acqua bene comune. “Non possono decidere di buttare tutto al vento, non possono vincolare i cittadini a un privato per altri 25 anni”.
Nell’anniversario del referendum che nella città emiliana aveva registrato con 250mila voti, un record di sì alla ripubblicizzazione, tutto era pronto per una festa, poi la festa è diventata una nuova protesta. Quello che però nessuno dei manifestanti riesce a spiegare è il voltafaccia così improvviso del Partito democratico, che qualcuno imputa a un vero e proprio diktat da Roma, dove ora Graziano Delrio, che da sindaco di Reggio aveva avviato il percorso all’acqua pubblica, è ministro. Non solo, ma anche istituti finanziari che avevano garantito il loro sostegno alla ripubblicizzazione, come la Cassa depositi e prestiti, all’improvviso si sarebbero affrettati a svincolarsi dall’impegno di procedere nel progetto. “Non sappiamo se ci sia un filo diretto con Roma, sicuramente però la velocità della decisione lascia pensare a un ordine arrivato dall’alto – aggiunge Dotti – Quello che non accettiamo è che sia un partito a decidere e non i sindaci. I cittadini hanno votato loro, questa non è democrazia”.
In Comune infatti il no definitivo all’acqua pubblica deve ancora essere sancito, ma su tutti gli amministratori del reggiano a inizio giugno è arrivato il niet del direttivo del Partito democratico, che ha giudicato impraticabile il progetto a causa dei costi e dei tagli della legge di stabilità. E questo nonostante un anno fa lo stesso Pd utilizzasse il progetto di ripubblicizzazione come bandiera nelle campagne elettorali per le amministrative per i suoi candidati, tra cui l’attuale sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi. “Come cittadini siamo stati traditi due volte: dall’esito del voto del referendum e dalle promesse in campagna elettorale alle ultime amministrative” accusa Emiliano Codeluppi.
A dimostrazione che il Pd sembrava intenzionato a portare l’acqua pubblica a Reggio Emilia, in questi quattro anni tutti i sindaci hanno commissionato all’ex assessore Ambiente del Comune Mirko Tutino, oggi con la delega nel Comune di Reggio Emilia, uno studio di fattibilità, che poi lo stesso Pd ha bocciato nella direzione provinciale di due settimane fa. Motivazione ufficiale i costi. Il partito ha parlato di 220 milioni, anche se per Tutino e per il comitato si tratterebbe di un investimento di circa 125 milioni di euro, “che verrebbe ripianato nel tempo con le tariffe – chiarisce Dotti – E’ un investimento, non un esborso come la stazione di Calatrava, in cui non ci sarà mai ritorno”. Sicuramente, spiegano dal comitato, per Iren l’interesse è quello di rimanere, anche perché perdere la gestione dell’acqua significherebbe “rinunciare a un affare da 2 miliardi per 25 anni”. I cittadini però temono anche che con una nuova gara per l’affidamento del servizio le cose possano addirittura peggiorare, perché Iren potrebbe presentarsi con Mediterranea delle acque Spa, società genovese partecipata dalla stessa multiutility e da F2i, perdendo così il contatto con il territorio.
La questione sta rendendo sempre più teso il dibattito cittadino e anche molti partiti di maggioranza nel Comune capofila di Reggio Emilia, che rischiano di creare una vera spaccatura politica nell’amministrazione di Vecchi. Sel, che è in giunta, si è opposta alla decisione del Pd, mentre nello stesso Partito democratico non tutte le voci sono concordi. A dimostrazione di ciò, nel consiglio comunale del 15 giugno, mentre era in corso la protesta dei comitati per l’acqua pubblica, i consiglieri Lanfranco De Franco (Pd) e Lucia Lusenti (Sel) hanno devoluto il loro gettone di presenza a favore del comitato per i tre giorni di manifestazione. L’opposizione, dai Cinque stelle al centrodestra alle liste civiche, è invece compatta nel sostenere il percorso di ripubblicizzazione e difende la posizione del comitato Acqua Bene comune. La resa dei conti e la prova del fuoco per il sindaco sarà il prossimo consiglio comunale, quando il tema sarà discusso in una seduta monotematica.
Fonte: ilfattoquotidiano.it