A Sala d’Ercole i deputati hanno deciso che la mozione contro il Segretario generale non poteva nemmeno essere discussa. Poi hanno anche bocciato la richiesta di referendum sulle trivellazioni nel mare siciliano. In compenso, molti di loro in questi tre anni sono saltati dall’opposizione alla maggioranza, ignorando la scelta dei cittadini.
Giovedì 24 Settembre 2015 – Accursio Sabella
PALERMO – A Sala d’Ercole non si discute. I cittadini non possono esperimersi. E il loro voto può anche essere buttato nel cestino. C’era una volta la casta. Che ha rifiatato un attimo, e si è ripresentata, in Sicilia, col petto gonfio. Ieri a Sala d’Ercole i deputati hanno impedito che in parlamento di potesse discutere la mozione di censura nei confronti del segretario generale Patrizia Monterosso. E il “merito” di un atto d’accusa verosimilmente destinato alla bocciatura, c’entra poco. Semmai, ecco emergere tra gli scranni l’arroganza di una politica votata, semplicemente, all’autoconservazione. Anche a costo di sfoderare il “latinorum” dei legulei. Anche quello che non porta da nessuna parte. Come nel caso dell’intervento del capogruppo dell’Udc Mimmo Turano: “Questa mozione non ha senso: l’Ars non ha il potere di revoca, come non ha il potere di nomina”. Peccato che la mozione avesse il compito, appunto, di “impegnare” il governo alla rimozione della burocrate. Il governo, quello che ha, appunto, il potere di nomina e revoca.
Ma di quella mozione non si deve nemmeno parlare, ha deciso il parlamento. È “inamissibile”, quell’atto d’accusa contro il capo della burocrazia, al vertice dell’amministrazione per chiamata diretta, con un incarico fiduciario che resiste anche a una condanna per danno all’erario da 1,3 milioni di euro. “Chi si sognerebbe di affidare qualsiasi attività a qualcuno con una condanna simile?” ha chiesto in Aula il capogruppo cinquestelle Giorgio Ciaccio. La fiducia, appunto. È questione di fiducia.
Anche perché, mai come in questo caso, il parlamento si è trovato unito. A chiedere l’inammissibilità di una mozione depositata addirittura nel marzo del 2014, a ranghi compatti. C’erano il Pd e l’Udc, certo. Ma anche la Lista Musumeci, ad esempio, col suo capogruppo Santi Formica. Peccato che lo stesso fosse tra gli ex assessori condannati dalla Corte dei conti per la vicenda extrabudget insieme proprio alla Monterosso. E anche le altre “opposizioni”, tra i corridoi di Sala d’Ercole, non si mostravano così grintose nei confronti del più stretto collaboratore di Crocetta: “Non è giusto punire una dirigente per un errore in buona fede” giustificava qualcuno della minoranza. Frasi che lasciano sullo sfondo, ovviamente, le durissime parole dei magistrati contabili sulla “mala gestio” che ha accompagnato la vicenda degli extrabudget. Ma la casta politica, stavolta, ha deciso di difendere l’altra casta, quella dei burocrati. In un intreccio che in Sicilia è sempre stato stretto, strettissimo. E fin troppo chiaro oggi a Palazzo dei Normanni.
La stessa politica che ha deciso persino di togliere la parola ai cittadini sul tema delicatissimo delle trivellazioni in mare. Serviva che metà dell’Assemblea dicesse sì alla promulgazione di un referendum in Sicilia. Bastava che dicesse: la parola ai siciliani. E invece no, nemmeno quello. E a votare no ai refereundum anche il governatore Crocetta, oltre ai deputati del Pd, due deputati del Megafono (Digiacinto e Malafarina), uno del Pdr (Lo Giudice) e uno dell’Mpa (Gennuso).
In commissione bilancio, poi, ecco il nuovo “caso”. Il vicepresidente Giorgio Ciaccio ha deciso di rassegnare formalmente le proprie dimissioni: “Abbiamo assistito a una sorta di mercato delle vacche, dove si cerca di piazzare sui vari emendamenti la bandierina da sventolare sotto il naso degli elettori della propria provincia. La goccia che ha fatto traboccare il vaso – spiega Ciaccio – è stato l’aver dichiarato inammissibile un nostro emendamento che tagliava gli stipendi dei deputati a seimila euro lordi per finanziare i trasporti degli alunni disabili, che ad oggi sono costretti a rimanere a casa. La verità é che farlo bocciare in aula era un fatto mediaticamente sconveniente per loro”. Loro, ovviamente, sono i deputati regionali. E a stretto giro di posta ecco la “promessa” di querela giunta dal presidente della commissione bilancio, Vincenzo Vinciullo, un parlamentare invece, che fino a pochi giorni fa simpatizzava con i grillini. Prima del passaggio “nei pressi della maggioranza” del suo partito, il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano.
Già, perché c’è anche quello, nel comportamento della casta che ignora i siciliani. Quel trasformismo che ha visto come garante assoluto, proprio l’uomo che avrebbe dovuto “fare la rivoluzione”, “rompere col passato”, “segnare un solco”. E invece, ha finito per imbarcare chiunque nella sua maggioranza (o nelle vicinanze, per tornare a parlare di Ncd). Erano 39 i deputati eletti tra i partiti del “patto originario” che hanno sostenuto la campagna elettorale di Crocetta: Pd, Udc e Megafono, oltre a quelli eletti nel listino del presidente. In meno di tre anni, sono stati 17 i parlamentari che hanno deciso di ridurre in coriandoli la scheda elettorale con la quale i cittadini hanno deciso di esprimere una preferenza nei loro confronti, e sono passati con disinvoltura dall’opposizione alla maggioranza.
In Sicilia, del resto, non è nemmeno una novità. Buona parte dell’era Lombardo è stata contraddistinta da uno storico ribaltone: chi ha perso (il Pd di Cracolici e Lumia su tutti) ha finito per governare e chi ha vinto è finito ai margini. Con Crocetta invece si è inaugurata l’era del ribaltone morbido. Diluito. A puntate. Il risultato, ad oggi, vede la trasmigrazione di ben 17 deputati. Una campagna acquisti con i fiocchi, per la maggioranza del governatore, che ha acquisito – nonostante le dichiarazioni di facciata buone per spegnere gli incendi all’interno del proprio orticello – anche l’appoggio del Nuovo centrodestra. Così, eccoli in rigoroso ordine alfabetico i deputati eletti per opporsi, e assorbiti dalla maggioranza: Alongi (Ncd), Francesco Cascio (Ncd), Salvatore Cascio (eletto col Pid), Cimino (ex Grande Sud), Currenti (eletto con la Lista Musumeci), D’Asero (Ncd), Germanà (Ncd), Lantieri (eletta con Grande Sud), Lo Giudice (eletto con la lista Musumeci), Lo Sciuto (Ncd), Picciolo (eletto con l’Mpa), Ruggirello (ex Lista Musumeci), Sudano (ex Pid), Tamajo (eletto con Grande Sud), Venturino (ex grillino), Vinciullo (Ncd) e, per ultimo, Nicola D’Agostino eletto con l’Mpa e passato ieri ufficialmente al movimento Sicilia democratica, a sostegno di Crocetta. C’erano anche molti di loro, quando ieri si è deciso che la mozione anti-Monterosso non doveva nemmeno essere discussa. E quando è stato impedito ai siciliani persino di esprimersi col referendum. Perché il parere dei siciliani è inutile. Perché il voto dei siciliani, a pensarci bene, non serve a niente.
Fonte: livesicilia.it