Dopo l’abbandono dell’Artico da parte di Shell, anche la Croazia lascia le esplorazioni in Adriatico. E da noi?
Il sogno fossile della Croazia è durato poco: dopo poco più di un anno il governo di Zagabria ha dovuto registrare una battuta d’arresto per la ricerca di petrolio sui fondali adriatici, dal momento che i contratti con le compagnie petrolifere assegnatarie dei “lotti” di estrazione non sono stati firmati.
L’intero progetto di sfruttamento intensivo delle risorse di idrocarburi offshore croate è rimandato, almeno sino all’elezione di un nuovo governo, prevista nei prossimi mesi.
Nella sua ultima riunione prima dello scioglimento del Parlamento l’esecutivo croato non ha affrontato la questione trivelle, né avviato un nuovo round per ricevere nuove offerte dalle compagnie petrolifere. Nei mesi precedenti la Marathon Oil e la OMV, titolari di ben sette su dieci delle concessioni nell’Adriatico croato, avevano già rinunciato definitivamente a procedere con i loro piani. E’ probabile che anche la INA faccia un passo indietro. Se fosse così l’unico lotto che manterrebbe qualche chance di sfruttamento – in futuro – sarebbe quello assegnato al consorzio ENI e MedoilGas, la stessa compagnia che avviò il progetto Ombrina Mare in Abruzzo.
Crolla così, miseramente, il falso mito del “se lo fanno i nostri vicini, perché non farlo anche noi?”, ripetuto in questi mesi dalle lobby petrolifere e dal governo italiano.
La strategia energetica del governo Renzi è sbagliata e procede in direzione ottusa e contraria. Non genera ricchezza, né occupazione, né tanto meno ridurrà la dipendenza energetica dell’Italia.
Nel frattempo sono già dieci i consigli regionali – quelli di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise – che, avvalendosi per la prima volta nella storia della Repubblica di questa facoltà prevista dalla Costituzione, hanno votato per indire un referendum sullo Sblocca Italia e sul Decreto Sviluppo.
Fonte: greenpeace.org