La città selinuntina
La città di Eraclea Minoa si stende su un bianco promontorio proteso verso un incantevole paesaggio marino, con alte pareti verticali, sulla sinistra del fiume Platani. Situati all’inizio di Capo Bianco, i resti della città greca occupano un luogo magnifico sul bordo di una collina solitaria sul mare. Ai suoi piedi, la costa apre nella lunga e bianchissima spiaggia di Capo Bianco, coronata da una bella pineta. Prima di giungere agli scavi, sulla destra, le bianche “dune” di roccia (la marna, una miscela di argilla e calcare “pulita” dai fenomeni di erosione) modellata dal vento richiamano la parete che chiude il Capo ad est.
Minoa è molto probabilmente il nome più antico che la leggenda collega al re cretese Minosse il quale, secondo una tradizione tardiva, avrebbe inseguito Dedalo fin in Sicilia per punirlo del fatto di aver aiutato Arianna e Teseo ad orientarsi nel labirinto. Minosse sarebbe stato ucciso proprio in questi luoghi dal re sicano Caos presso cui Dedalo si era rifugiato. Il regno di Cocalo era in effetti situato lungo le rive del fiume Platani con capitale Camico, oggi identificata da alcuni con l’odierna Sant’Angelo Muxaro da altri con Caltabellotta (per ulteriori notizie su Dedalo si veda anche Monte KRONIO). La città venne probabilmente fondata nel VI sec. a. C. da coloni greci di Selinunte. L’aggiunta di Eraclea al nome è opera forse di un successivo afflusso di Greci. Passata nelle mani dei Romani nel III sec. a.C. venne coinvolta in una serie di guerre e venne progressivamente abbandonata. Nel I sec. d.C. la città non è più abitata.
Le rovine
La storia della ricerca archeologica ha inizio nel 1950, allorquando Ernesto De Miro vi scopre, scavando a più riprese fino al 1964, il teatro costruito con una pietra molto friabile e pertanto in cattivo stato di conservazione. Si indovina la forma originale della cavea che chiudeva un’orchestra a ferro di cavallo. Il teatro è inserito entro il reticolo regolare della città, articolato su terrazze digradanti verso Sud-Ovest, i resti delle cui abitazioni, in mattoni crudi, alcune delle quali presentano ancora piccole parti di mosaico, furono portati alla luce dagli stessi scavi. La città era protetta da una imponente cinta muraria (lunghezza calcolata di circa 6 Km), che abbraccia l’intera estensione dell’altopiano, fino al fiume Platani. Dell’abitato è stato messo in luce un notevole settore, nel pianoro a Sud del teatro. Sono stati accertati due strati sovrapposti di abitazioni, rispettivamente riferibili al periodo ellenistico e al periodo romano repubblicano.
Dell’abitato di II strato (IV-III sec.a.C., contemporaneo al teatro) sono state scavate due case, inserite in un sistema a strade parallele e ortogonali. Le due case messe in luce sono caratterizzate da una pianta semplice: struttura quadrata, chiusa intorno ad un piccolo atrio con cortile centrale. La casa A era ad un solo piano con cortile fornito di grande cisterna in cui si convogliavano le acque del tetto a falde compluviate. A Nord del cortile era un sacello domestico (lararium), di cui si conservano l’altare quadrangolare addossato all’angolo nord-ovest e l’edicoletta per i lares nella parete est. La pavimentazione del vano è in cocciopesto decorato di tesserine bianche; le pareti conservano avanzi della decorazione a stucco (stile a incrostazione o I stile pompeiano). La casa B aveva un piano superiore con stanze destinate all’abitazione, le cui macerie (mattoni crudi delle pareti, lastroni di soglia, stucchi, intonaci, pavimento in cocciopesto decorato e mosaico), nel crollo, hanno colmato i vani del piano terra. Eccezionale lo stato di conservazione dei muri, non solo nella parte lapidea ma anche nell’elevato in mattoni crudi. Le pareti erano rivestite di intonaco dipinto, di cui rimane il sottofondo di allettamento.
All’abitato di IV-III sec.a.C. si sovrappone, nel II-I sec. a.C., l’abitato di I strato, che può identificarsi con la colonia di ripopolamento dedotta da Rupilio (Cic., Verr., II, 125) al termine della prima guerra servile (132 a. C.). E’ costituito da case costituite generalmente di due o più vani gravitanti su un cortile con focolare. I muri sono costruiti con basamento di blocchetti di pietra gessosa ed elevato in mattoni crudi. L’organizzazione in isolati inquadrati da strade nord-sud che si incrociano con strade est-ovest, ricalca lo schema della fase precedente. Verso il termine del I sec. a.C. la città fu abbandonata e cala il silenzio nelle fonti letterarie. L’area extra-urbana tornò ad essere occupata in epoca paleocristiana e bizantina (III-VII sec. d.C.), con la costruzione di una grande basilica e da un connesso cimitero.
L’area archeologica è recintata e visitabile. Un piccolo Antiquarium riunisce oggetti provenienti in massima parte dagli scavi del sito e del territorio circostante.
Il Teatro
Il teatro più antico in Sicilia si trova a Siracusa dove è attestata un’attività teatrale collegata con il poeta greco Epicarmo. Dal IV al III sec. a.C. si collocano i diciannove teatri conosciuti in Sicilia: Agira, Catania, Eloro, Eraclea Minoa, Tusa (Halaesa), Messina, Montagna dei Cavalli (Prizzi), Monte Iato, Morgantina, Palazzolo Acreide, Segesta, Siracusa, Solunto, Taormina, Tindari. Tre teatri, ad Agrigento, Caucana e Enna sono attestati unicamente dalle fonti. Durante il periodo ellenistico gli elementi scenici di molti edifici vennero modificati: venne introdotto il palcoscenico alto, detto proscenio. Sembra che si rispecchi la tradizione della commedia popolare dei Fliaci che usava palchi di forma simile in legno come ce lo illustrano alcune pitture vascolari. La farsa fliacica (o tragedia burlesca) fu infatti ampiamente diffusa sia in Sicilia che in Magna Grecia: il maggiore esponente fu Rintone, nato forse a Siracusa.
Il teatro di Eraclea non è citato dalle fonti antiche. Compreso nel perimetro delle mura di fortificazione, è sistemato nella cavità di una collinetta. Il koilon (cavea) è aperto a Sud, contro le prescrizioni di Vitruvio (De Arch. V, 32) che vuole che sia evitata una tale esposizione che provoca la concentrazione del calore nella conca caveale. Il koilon consta di dieci ordini di gradini in conci di arenaria, mentre ricavati nella roccia sono sono la praecinctio (alta m 8.90 sopra il livello dell’orchestra) e l’ambulacro perimetrale antistante. La cavea, cui si accede frontalmente mediante quattro gradini, è divisa in nove settori (kerkides) da otto scalette (klimades). Abbastanza ben conservati i muri di testata o analémmata, in numero di otto filari di conci di tufo marnoso messi in opera con struttura piramidale a gradoni. Un ambulacro di servizio separa la gradinata dalla proedria (prima fila di sedili destinata alle autorità) formata da un ordine di banchi con schienale con braccioli. Tra l’orchestra e l’anello di conci che delimita il koilon è l’euripo largo m 1.25.
Il teatro di Eraclea non ebbe un vero e proprio palcoscenico: nell’area scenica sono stati riconosciuti i cavi per il fissaggio delle travi di un podio ligneo mobile di tipo fliacico.
Il teatro risulta abbandonato fra il II e il I sec. a.C. quando alcune strutture dell’abitato di I strato (identificato con la colonia di Rupilio) si addossano ai muri di testata della gradinata.
Il teatro è stato oggetto di recenti restauri consistenti nel consolidamento lapideo e nella copertura provvisoria della gradinata, certamente inadatta a preservarlo.
La spiaggia
Da Eraclea, ritornare sulla SP 115 (Sciacca-Agrigento) e proseguire in direzione di Agrigento. Alla prima uscita seguire le indicazioni per Montallegro-Bove Marina e in seguito Montallegro Marina. Una stradina sulla destra segna l’accesso al mare. Questa bella e lunghissima spiaggia è delimitata dall’alta parete bianca del capo e, verso sud-est, da un’estesa pineta.
Fonte: http://goo.gl/lxJi63
Fonte: agrigento-sicilia.it